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Ecco come Papa Francesco è stato letto e interpretato su profughi e migranti

PAPA FRANCESCO JORGE MARIO BERGOGLIO

Svolta. Retromarcia. Cambio di rotta. Equivoco chiarito. I titoli dei giornali di mezzo mondo hanno preteso un’ultima novità nella posizione sulle migrazioni di papa Francesco che, nel viaggio di ritorno dalla Svezia, ha parlato coi giornalisti della necessità di coniugare accoglienza e prudenza. Un blog del parigino Le Figaro titola: Immigrazione, il papa corregge Francesco. Un auspicio più che la realtà?

È il destino di Bergoglio: qualsiasi cosa dica o faccia, sia letto da destra o da manca, deve per forza essere una rivoluzione rispetto al passato o a se stesso. Almeno su questo punto, le cronache di quasi quattro anni di pontificato dicono che il figlio argentino di astigiani emigrati nel nuovo mondo e diventato papa conferma il suo pensiero.

COSA HA DETTO IL VOLANTE FRANCESCO

L’afflusso di rifugiati non è una minaccia per la cultura cristiana del continente europeo? La risposta di Francesco alla domanda di un giornalista svedese va letta per intero. Bergoglio non ha fatto altro che ripetersi. Ha ribadito che l’emigrazione è un diritto, ma un “diritto che deve essere fortemente regolamentato” e ha ricordato che “l’Europa è stata fatta con una continua integrazione di culture”. Il cuore della risposta: “Cosa penso dei Paesi che chiudono le frontiere? Credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché non solo a un rifugiato lo si deve ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti di integrazione, faccia fino a questo. Altro Paese di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare”.

AL CENTRO RESTA IL MIGRANTE

È questo il punto: bisogna accogliere fino a che non si rischia di mettere i migranti in un ghetto. Dice Bergoglio: “Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il migliore consigliere la prudenza”. E “la prudenza deve fare questo calcolo” riuscire a trovare per chi viene “scuola, casa, lavoro, insegnare la lingua”.

NESSUNA SVOLTA

Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, via twitter ha ricordato i termini teologici della questione a chi ha scritto di svolta del Papa sui migranti, citando Tommaso d’Aquino e il Catechismo: la prudenza richiesta dal Papa ai governanti è il “cocchiere delle virtù”, discerne il bene e non si confonde con la timidezza o la paura.

Nega una svolta di Francesco monsignor Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato. In una intervista al Qn descrive un “realismo del Papa”: “Francesco non ha mai parlato di accoglienza indiscriminata”. E ancora, rispetto alla presunta svolta: “Ha ricordato la tutela speciale a cui ha diritto un rifugiato rispetto al diritto all’immigrazione che sottostà ad altre regole, e ha ribadito che i Paesi benestanti hanno un dovere di accoglienza che non si limita a fare entrare le persone, ma a prevedere loro una piena integrazione nella nazione che li ospita”. Gli stessi accenti vergati da Francesco nel manifesto del pontificato. Al centro di Evangelii Gaudium, Bergoglio scriveva di “ampliare lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni”. “Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna nazione bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità”. E citando Paolo VI: “I più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri”.

Di conferma della posizione di Bergoglio ha parlato anche monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei: “E’ stato ribadito, in maniera molto chiara, anzitutto il diritto a migrare e all’ospitalità dei migranti”. E sul tema della prudenza, dovere dei governanti, Perego ricorda che il papa interroga i politici affinché recuperino “questo senso della prudenza, che mette al centro il bene, in questo caso dei migranti, ma valuta anche con realismo tutti quegli strumenti necessari da mettere in atto”.

In sintesi: la prudenza per il Papa non è sinonimo di precauzione o cautela, come analizza Dominique Greiner su La Croix: il governo prudente non è quello che decide di chiudere i suoi confini per paura o egoismo, ma chi sa unire rettitudine e bontà. È quello che calcola, vale a dire, accetta, di guardare oltre l’immediato presente. La prudenza non è una virtù che può essere invocata per giustificare il ritiro, ma è un principio di azione esigente.

DELLA PRUDENZA O RESPONSABILITÀ. I PRECEDENTI

Di accoglienza e prudenza, Francesco aveva discorso in modo più articolato al Parlamento europeo nel novembre 2014: “L’Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse all’immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l’accoglienza dei migranti; se saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti interni”.

E di ritorno da Lesbo (aprile 2016), Francesco ha tradotto prudenza con responsabilità: “Io capisco i governi, anche i popoli, che hanno una certa paura. Questo lo capisco e dobbiamo avere una grande responsabilità nell’accoglienza. Uno degli aspetti di tale responsabilità è questo: come ci possiamo integrare questa gente e noi. Io ho sempre detto che fare muri non è una soluzione: ne abbiamo visto cadere uno, nel secolo scorso. Non risolve niente. Dobbiamo fare ponti. Ma i ponti si fanno intelligentemente, si fanno con il dialogo, con l’integrazione. E per questo io capisco un certo timore”.

Quanto al dovere degli Stati e alla tutela dell’interesse superiore (in particolare quello dei minorenni), ne aveva scritto a settembre nel suo messaggio per la prossima Giornata mondiale del migrante e rifugiato che si celebrerà il 15 gennaio 2017: “Il diritto degli Stati a gestire i flussi migratori e a salvaguardare il bene comune nazionale deve coniugarsi con il dovere di risolvere e di regolarizzare la posizione dei migranti minorenni, nel pieno rispetto della loro dignità e cercando di andare incontro alle loro esigenze, quando sono soli, ma anche a quelle dei loro genitori, per il bene dell’intero nucleo familiare”.

SULLA LINEA DEL CONCILIO C’E’ ANCHE IL DIRITTO A NON EMIGRARE

Bergoglio sta con il Concilio Vaticano II quando parla del “diritto ad emigrare” (è nella Guadium et Spes, 65). Semmai, forse non pone oggi e non lo poneva ieri con la stessa frequenza l’accento che Benedetto XVI e Giovanni Paolo II avevano dato all’odierno diritto “a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra”. Il diritto “primario dell’uomo a vivere nella propria patria che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione” (Giovanni Paolo II, 1998).

Accenti che i vescovi del Medio Oriente di fronte alle persecuzioni degli ultimi anni hanno sempre ripetuto, avvertendo del dramma di chi è costretto a fuggire dalla propria casa. Un popolo che è pronto a ritornare in patria appena possibile.

E un appello a non emigrare era stato rivolto dai vescovi africani ai connazionali: restate qui, per costruire un continente migliore

SOTTOTRACCIA: LE MIGRAZIONI MUSULMANE

Non è nemmeno una novità che Francesco non abbia forse risposto esplicitamente al giornalista svedese che gli chiedeva di una possibile minaccia alla cultura cristiana europea che potrebbe derivare dall’arrivo massiccio di immigrati di altre culture. La stessa domanda gliela aveva posta Franca Giansoldati, vaticanista del Messaggero, in aprile. Di ritorno da Lesbo il papa portò con sé tre famiglie di rifugiati, tutti musulmani. “Non sarebbe forse più utile per l’integrazione privilegiare l’arrivo di immigrati non musulmani? “, chiedeva la vaticanista. Anche in quell’occasione il papa sottolineò l’urgenza di evitare ghetti e di integrazione come possibilità per l’Europa di arricchimento della propria cultura. La sfida posta dall’immigrazione musulmana, il papa argentino, la risolve in questi termini.

Il video-racconto di Formiche.net a cura di Simona Sotgiu e MONDOCANE.

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