Probabile che fino a domenica la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica tedesca ignorasse il fatto che alcuni grandi gruppi tedeschi hanno sostenuto finanziariamente in primo luogo la campagna elettorale dei repubblicani e dunque anche quella del Donald Trump. A rivelare questa curiosità è stata la trasmissione sull’attualità europea Europamagazin, in onda tutte le domeniche alle ore 13 sul canale televisivo pubblico ARD. I grandi gruppi tedeschi generosi finanziatori di Trump? Una notizia ancora più singolare tenendo conto che, stando ai sondaggi, giusto il 4 per cento dei tedeschi avrebbe votato per il tycoon.
Ma perché questo sostegno e come è avvenuto in concreto? Domande alle quali nessuno dei gruppi direttamente interessati ha voluto rispondere. E così la redazione di Bruxelles dell’ARD si è messa a cercare da sé le risposte, scoprendo un sistema alquanto “singolare”. Come ha spiegato Michael Grytz corrispondente dell’ARD di Bruxelles che si è occupato di questa notizia, va innanzitutto precisato che a donare sono compagnie che hanno una sede anche negli USA; anzi, non sono le compagnie a donare direttamente, ma i loro dipendenti. Inoltre, le ricerche hanno evidenziato che ai repubblicani è arrivato il doppio delle donazioni rispetto a quelle per i candidati democratici.
A confermare quest’ultima affermazione sono gli esempi di BASF, BAYER, ALLIANZ e DEUTSCHE BANK. I dipendenti della BASF hanno devoluto 467mila dollari ai repubblicani e 191mila dollari ai democratici. Dati simili per il gruppo BAYER: 434mila dollari sono andati ai candidati repubblicani, 121mila dollari ai democratici. Mentre i dati per NOVARTIS, gruppo farmaceutico svizzero, sarebbero diversi, fa notare Grytz. “132mila dollari per l’uno e 132mila dollari per l’altro schieramento. E ciò lascia supporre che il beneficiario delle donazioni non sia così casuale. Il che è dimostrato, peraltro, anche da Allianz”. Infatti i dipendenti del gruppo assicurativo hanno donato 63 mila dollari ai repubblicani e solo 21 mila ai democratici, mentre quelli della Deutsche Bank anche se meno generosi (sarà anche per le traversie che l’istituto di credito sta passando negli States) hanno sostenuto con 31 mila dollari i candidati repubblicani, e con appena 5 mila dollari quello democratico. Considerando che la campagna elettorale è costata più di un miliardo di dollari complessivamente, si tratta di peanuts, ma per la stragrande maggioranza dei tedeschi comunque sempre troppo, visto l’esito.
Ma, altra domanda, perché sono i dipendenti e non i vertici a “donare”? Perché le compagnie straniere non possono sostenere direttamente una o l’altra candidatura, motivo per cui, spiega Grytz “si costituiscono comitati d’azione politica, Political Action Commitees, dove sono riuniti i dipendenti i quali poi danno indicazioni ai comitati direttivi a chi devono andare le donazioni”. Un’altra domanda che sorge spontanea è se in questo modo le compagnie si “comprano” la benevolenza dei politici. Ufficialmente, sottolinea Grytz sono i dipendenti a decidere “è però nella natura delle cose che si voterà per il candidato ritenuto strategico ai propri interessi, il quale in agenda ha punti che possono favorire il business”.
Non c’è mai stata una particolare voglia, da parte dei grandi gruppi tedeschi, di dare informazioni riguardo alle preferenze di voto dei loro dipendenti negli USA. Con la vittoria di Trump questa voglia è scomparsa del tutto. “Il fatto è” conclude Grytz “che i vertici di questi gruppi devono prendere atto che i loro dipendenti negli States hanno sostenuto un candidato il quale, per esempio, ha ripetutamente manifestato l’intenzione di favorire le imprese americane, se necessario anche attraverso misure protezionistiche”.