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Chi piange e chi ride nella Silicon Valley per l’arrivo di Trump alla Casa Bianca

Tutte le aziende hitech americane sono sotto choc per l’elezione di Donald Trump alla presidenza del loro paese: il candidato Repubblicano è visto come l’antitesi vivente dell’innovazione. Ma  gli attacchi di Trump si sono indirizzati soprattutto contro due bersagli, Apple e Amazon.

LO SCONTRO CON JEFF BEZOS

La Silicon Valley è da sempre schierata contro Donald Trump. A luglio scorso un gruppo di quasi 150 top manager e guru dell’hitech (tra cui Steve Wozniak, co-fondatore di Apple, Ev Williams, co-fondatore di Medium, David Karp, fondatore di Tumblr, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, Kim Malone Scott, Ceo di Candor ed ex-director di Google, e Alexis Ohanian, co-fondatore di Reddit) ha firmato una lettera contro la candidatura del miliardario. “Noi crediamo che un paese che favorisce l’inclusione sia un paese che crea opportunità e favorisce la creatività e il level playing field per tutti gli attori dell’economia. Donald Trump non crede in questo”, si legge nel documento.

Jeff Bezos di Amazon e Tim Cook di Apple sono però stati assaliti personalmente dal neo-eletto presidente durante la sua campagna elettorale. Trump ha promesso che, in caso di elezione, Amazon avrebbe avuto “grossi problemi” e Bezos ha replicato definendo il neo presidente “un pericolo per la democrazia”. E’ vero, ora Bezos si è congratulato con Trump per la vittoria, ma non dimenticherà le accuse di usare il Washington Post (di proprietà di Bezos) per ridurre il carico fiscale di Amazon o di aver creato con Amazon un monopolio che pone diverse questioni antitrust. Trump in campagna elettorale ha anche indicato che potrebbe imporre dazi più alti all’importazione di merci e rinegoziare gli accordi commerciali – tutte misure che danneggerebbero il modello di business di Amazon la cui piattaforma di e-commerce è piena di prodotti fabbricati all’estero (e che tolgono lavoro agli americani, secondo Trump).

IL TESTA A TESTA CON COOK

Il Ceo di Apple Tim Cook (che era addirittura entrato nella lista dei possibili vicepresidenti di Hillary Clinton) è stato invece attaccato da Trump perché Apple costruisce i suoi device in Asia e perché si è rifiutata di dare all’FBI accesso all’iPhone dell’attentatore di San Bernardino (e allora Trump aveva invitato gli americani a boicottare i prodotti Apple, azienda “amica” dei terroristi).

Ora però Trump è presidente e tocca andare avanti. All’indomani del voto, Cook ha scritto ai suoi dipendenti americani una nota in cui dice: “Nel quadro generale possono essere subentrate delle incertezze ma la stella polare di Apple è sempre lì. I nostri prodotti connettono le persone ovunque e danno ai nostri clienti strumenti per fare grandi cose e migliorare il mondo. La nostra azienda è aperta a tutti e noi celebriamo la diversity di chi fa parte dei nostri team qui e in tutto il mondo, non ci interessa il loro aspetto, da dove vengono, quale fede o orientamento sessuale abbiano. Andiamo avanti così, tutti insieme!“.

UN FAVORE INASPETTATO

Trump potrebbe però fare anche qualche inaspettato favore alle aziende hitech e ad Apple in particolare. Il neo-eletto presidente starebbe valutando di concedere una sorta di condono fiscale una tantum alle imprese Usa che riportano in patria il cash che finora hanno tenuto all’estero per non pagare l’imposta sul reddito: la multa sarebbe un prelievo del 10% sul totale degli asset anziché del 40% come previsto ora.

Alcune stime indicano che le multinazionali americane hanno accumulato all’estero un tesoro di circa 2.000 miliardi di dollari tra 2008 e 2014, ma Apple è quella che ha più soldi all’estero di tutti, circa 200 miliardi e Cook ha detto che sarebbe ben felice di riportare il cash in patria ma solo non se ciò non si trasforma in un salasso. E ora proprio Trump potrebbe venirgli incontro.

(Va notato che, tra le aziende hitech della Fortune 500, anche Microsoft, Ibm, Cisco, Google, HP e Oracle hanno parecchio contante fuori dagli Usa).

CHI SORRIDE PER LA VITTORIA DI TRUMP

Intanto la vittoria di Trump appare già come un grande vantaggio ai colossi telefonici americani. Trump non ha ancora una chiara agenda sulle politiche per il digitale, ma sul suo tavolo finiranno subito due questioni: i mega-merger annunciati di recente nel settore Tlc e le nuove nomine alla Federal Communications Commission.

Sui mega-merger, anche se Trump ha indicato che potrebbe bloccare l’acquisizione di Time Warner da parte di At&t, nessuno si aspetta che lo faccia e la telco si è detta fiduciosa di riuscire a andare avanti con l’operazione. Ottimista anche CenturyLink che sta acquisendo Level 3 Communications e che pensa che il deal sarà approvato anche più rapidamente sotto la presidenza Trump e con i nuovi commissari Fcc.

Proprio dal regolatore le telco si aspettano un nuovo atteggiamento più amichevole. L’amministrazione Obama non è piaciuta per niente ai colossi Tlc come At&t e Verizon, perché Obama e il presidente della Fcc Tom Wheeler, a lui molto vicino, sono stati i promotori della riclassificazione della banda larga come servizio di telecomunicazione e non di informazione e quindi passibile di maggiore intervento regolatorio. La riclassificazione ha toccato temi cruciali come net neutrality e privacy: ha soddisfatto i colossi Internet della Silicon Valley come Google, ma per le telco è un ritorno ai tempi dei monopoli telefonici che mina gli investimenti in infrastrutture.

Ora associazioni di settore come Tech Knowledge e la Internet Innovation Alliance sorridono convinte che l’amministrazione Trump e i nuovi commissari della Fcc lasceranno le “forze concorrenziali sul mercato” libere di agire per portare investimenti e innovazione nelle reti e nei servizi Tlc.

Gli osservatori americani si aspettano che Trump assuma al suo fianco per le questioni legate al digitale e alla banda larga Jeffrey Eisenach, grande sostenitore di un approccio regolatorio light touch; poi, nel 2018, se non sarà andato via prima (come è probabile), sostituirà Tom Wheeler con una persona a lui più gradita per guidare la Fcc. Commenta Anna M. Gomez, ex della NTIA (dipartimento del Commercio Usa): “Trump è propenso alla deregulation e ci aspettiamo una politica sulle Tlc coerente con questo atteggiamento”.

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