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Bashneft a Rosneft, che cosa cela l’arresto del ministro russo Ulyukayev

Il ministro dello Sviluppo economico russo, Alexei Ulyukayev, è stato arrestato dall’Fsb (l’ex Kgb) nella serata di lunedì con l’accusa di aver preso una mazzetta da 2 milioni di dollari per aver dato via libera all’acquisizione della compagnia Bashneft da parte del gigante petrolifero statale Rosneft. Shaun Walker del Guardian, uno dei giornalisti europei più esperti sulle dinamiche russe, ha scritto che “Ulyukayev è il più alto funzionario del governo ad essere arrestato dopo il fallito colpo di Stato nel 1991, e la mossa è vista già da molti osservatori come parte di una battaglia a porte chiuse tra diverse fazioni del Cremlino”.

L’ARRESTO

Il Comitato investigativo anti-corruzione, organo federale che si occupa del problema endemico in Russia, ha dato la notizia dell’arresto praticamente in diretta: intorno alle 2:30 di notte un comunicato ha spiegato che il ministro era stato colto in fragranza di reato dagli agenti dei servizi che erano già sulle sue tracce. Svetlana Petrenko, portavoce del Comitato, ha detto a RIA Novosti che quei soldi, trovati in contanti tra le mani di Ulyukayev (tecnocrate sessantenne alla guida del ministero dal 2013), erano stati estorti accompagnati da minacce a dirigenti della Rosneft. Secondo il portavoce del Cremlino, il presidente Vladimir Putin era a conoscenza delle indagini: la lotta alla corruzione è sbandierata come uno dei grandi obiettivi di politica interna della presidenza, ma diversi critici la ritengono un territorio per il regolamento di conti tra i clan del potere di Mosca (“Il caso rischia di esporre le linee di faglia nella cerchia del presidente” scrive la Reuters).

LA VENDITA

Da quello che esce dalle prime informazioni diffuse da fonti interne all’investigazione alle agenzie internazionali e tramite dai media statali (per esempio, Russia Today), sembra che Ulyukayev avrebbe fatto pressione sui vertici Rosneft: più o meno, o pagate la tangente o mi metto di traverso nella chiusura dell’affare. La Novaya Gazeta, giornale che fu di Anna Politoskaya noto per i lavori investigativi sull’establishment russo, però sostiene che è la vicenda “è priva di senso”: troppo piccola la cifra della tangente e soprattutto inutile visto che la vendita è avvenuta sulla base di prezzi di mercato, non ci sono foto dell’arresto o dei soldi. Per capire meglio tutto c’è da ricostruire la storia della vendita, il principale territorio di scontro tra le élite di potere russe negli ultimi mesi. All’inizio del 2016 il governo aveva messo sul mercato la quota di partecipazione del 50,08 per cento nella Bashneft, società petrolifera le cui attività sono principalmente concentrate nella regione centrale russa di Bashkortostan; era stata già privatizzata nei primi anni 2000, per poi essere nuovamente nazionalizzata nel 2014 dopo che Vladimir Yevtushenkov, l’oligarca proprietario, era finito ai domiciliari – si crede che l’arresto di Yevtushenkov fu orchestrato da Igor Sechin, profilo di spicco del cerchio magico putiniano e capo della Rosneft, già interessato nel 2013 all’acquisto della Bashneft, ma sono ricostruzione smentite e prive di appoggio giudiziario.

GLI SCONTRI TRA ELITE

Da subito la Rosneft ha dimostrato interesse per l’acquisizione, ma le posizioni politiche, anche governative, più liberali avevano storto il naso. Tra questi anche Ulyukayev, che aveva definito “inopportuna” la partecipazione di Rosneft alla vendita: “Una società di proprietà dello Stato non può comprare un’altra società dello Stato, non si tratta di privatizzazione” aveva detto a luglio sul quotidiano economico Vedomisti il consigliere presidenziale Andrei Belousov. In agosto si era quasi giunti alla conclusione che Rosneft non potesse partecipare e anche Putin aveva parlato dell’acquisto come della “non migliore opzione”. Ma sfruttando una formalità, in quanto la ditta non è controllata direttamente dal Cremlino (che invece ne amministra l’azionariato, il 69,5%, tramite un’altra società, Rosneftgaz), tutto è stato riaperto a settembre, e la società guidata da Sechin il 6 ottobre si è aggiudicata l’acquisto con un impegno economico di 5,3 miliardi di dollari. (Nota: uno di quelli che sarebbe dovuto essere un potenziale acquirente privato della Bashneft, la Independent Petroleum Company (IPC), è di fatto controllata dall’ex vice presidente di Rosneft, Eduard Khudainatov, e si pensa che IPC sarebbe stata un attore collegato alla Rosneft). Secondo il Financial Times Bashneft è “uno dei beni più interessanti messi in vendita nel quadro del programma di privatizzazione” (i fondi di riserva russi si stanno esaurendo, e le privatizzazioni sono viste come un modo per arricchire le casse del governo), perché si tratta di una delle poche compagnie petrolifere russe che ha avuto output positivo, con una produzione in aumento di oltre il 50 per cento dal 2010 e con prospettive di ulteriore crescita”. Con l’acquisto Rosneft ha consolidato la sua posizione egemonica nel mercato petrolifero russo, controllando il 42 per cento della produzione, il 37 per cento della capacità di raffinazione e un quarto delle stazioni di servizio, stando ai dati forniti al FT da Otkritie Capital. Un portavoce di Rosneft, Mikhail Leontyev, citato dall’agenzia di stampa TASS, ha sostenuto che l’azienda dietro all’arresto del ministro non vede alcun rischio per l’affare con Bashneft, e che “l’accordo è avvenuto assolutamente alla luce del sole”.

REGOLAMENTI DI CONTI

Ulyukayev è vicino a Andrei Kostin, il potente capo del secondo più grande gruppo bancario della Russia, VTB (di proprietà statale), e presiede il suo consiglio di sorveglianza – la VTB ha poi curato la vendita, e ha già dichiarato di non essere a conoscenza della vicenda che ha coinvolto il ministro. Anche la banca in estate aveva espresso riserve sulla compravendita. Kostin come Ulyukayev sono considerati esterni all’inner circle presidenziale, più vicini al primo ministro Dmitri Medvedev. “Sechin Wins” titolava la Bloomberg la notizia sulla chiusura dell’affare.

(Foto: Kremlin.en)

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