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Igor Dodon e Rumen Radev, perché Putin gongola per le elezioni in Moldavia e Bulgaria

israele, VLADIMIR PUTIN

Sulla frontiera orientale, la Russia di Vladimir Putin ha segnato due ulteriori progressi. Moldavia e Bulgaria hanno eletto due presidenti della repubblica filo-russi nel voto del 13 novembre, Igor Dodon e Rumen Radev. Entrambi hanno parto la strada a elezioni politiche, nella prospettiva di un analogo cambiamento (di orientamento est-ovest) nei rispettivi parlamenti e quindi nei governi. D’altra parte, il primo ministro bulgaro filo-europeo Boiko Borisov si è subito dimesso.

È una vittoria di Putin che non va ascritta al nuovo presidente statunitense Donald Trump, ma alle difficoltà da parte dell’Europa e degli Stati Uniti dell’amministrazione uscente di Barack Obama nel containment russo. La dottrina ha ripreso dignità soltanto di recente e quindi già tardi, al vertice Nato dell’8 e 9 luglio 2016, con una capacità di comprensione e di azione quindi ancora fragile e frammentata. E sarà presto rimessa in discussione dalla nuova amministrazione Trump.

IN MOLDAVIA

Già al primo turno del 30 ottobre si era capito che la Moldavia era persa, come ha raccontato Formiche.net. Il leader socialista filo-russo Igor Dodon aveva ottenuto oltre il 48%. Pur vestendo panni più moderati del solito, aveva parlato di unità nazionale, includendo quindi la Transnistria, terra moldava di conflitto congelato in cui stazionano i soldati russi, e mostrato ostilità verso la Romania, vicino e amico Paese membro dell’Unione europea. Accanto a Dodon, un movimento nuovo, populista e costruito in chiave filo-russa, “Il Nostro Partito”, aveva preso il 6%. La candidata filo-europea Maia Sandu doveva prendere le distanze dall’immagine di establishment corrotto che si portavano dietro alcuni oligarchi rimasti relativamente dietro le quinte. Le forze filo-europee si sono unite (tranne Iurie Leancă, già primo ministro liberale) sotto pressione del PPE, e hanno ottenuto il 38%. Al secondo turno Igor Dodon ha raggiunto il 54% (pare la somma dei voti 48+6 del primo turno) mentre Maia Sandu ha ottenuto il 44%.

IN BULGARIA

La Bulgaria è membro della Nato e dell’Unione europea, e la vittoria di un presidente filo-russo ha un significato ancora più rilevante. Il Paese aveva guardato nel 2007 all’adesione all’Unione europea nella prospettiva della modernizzazione, della prosperità e del rinnovamento politico, ma la resistenza alle riforme ha prevalso. Già nel 2013 vi furono proteste anti-establishment seguite da elezioni e da un quadro di governo relativamente instabile. Il governo ha dovuto confrontarsi nell’ultimo anno anche con la pressione (destabilizzante) dei migranti, e con la scelta di realizzare una barriera fisica ai propri confini. Il candidato socialista Rumen Radev – che si è presentato come una figura nuova nel panorama politico – ha ottenuto il 59,4% dei voti, contro il 36,2 di Tsetska Tsacheva, candidata del partito di centro destra GERB.

IL FILO ROSSO

Nei due Paesi, il ritorno all’amicizia con la Russia corrisponde all’insoddisfazione riguardo all’Unione europea e all’Occidente. Nei due Paesi circola l’immagine di un establishment pro-europeo composto da ricchi oligarchi per lo più corrotti, che tengono in condizioni di povertà la popolazione e ostacolano il cambiamento. In Moldavia, il furto da tre banche di un miliardo di euro del novembre 2014 sta passando nell’immaginario come collegato all’élite pro-europea, piuttosto che come azione destabilizzante pro-russa contraria all’Accordo di associazione UE-Moldavia firmato pochi mesi prima, nel giugno 2014. In Bulgaria è emerso un outsider in chiave anti-establishment, mostrando come modello di stabilità e relativo benessere la Russia di Putin.

Sia in Bulgaria sia in Moldavia, le forze politiche filo-europee hanno mostrato divisioni proprio sul tema delle riforme e degli interessi economici del sistema pubblico e delle pubbliche autorizzazioni. Sono infine Paesi in cui la presenza “europeizzante” degli Paesi dell’Unione europea è stata debole e frammentaria, frenata dalla corruzione ma anche poco volontarista e politica, fatta eccezione per quella tedesco-austriaca e per quella rumena.

È infatti Bucarest che ha sostenuto la Moldavia dal punto di vista economico e sociale nei momenti più difficili, con prestiti, aiuti alle famiglie e al sistema sanitario – e che l’11 novembre ha inaugurato con la Bulgaria un gasdotto di collegamento di 25 km, che contribuisce a ridurre la dipendenza energetica bulgara dal gas russo. Ed è proprio con Bucarest che presto si raffredderanno i rapporti, prima di toccare il più complesso problema della presa di distanze dall’Unione europea.


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