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Come si crogiolano Google e Facebook per l’elezione di Trump

Come dice TechCrunch, anche se sarebbe stato meglio pensarci “prima” dell’elezione presidenziale americana, meglio tardi che mai: Google e Facebook hanno deciso di intervenire contro le notizie false o fake news che vengono diffuse sulle loro piattaforme – insomma le bufale. Le due aziende hanno annunciato – lo riporta anche l’agenzia di stampa Reuters – un aggiornamento delle loro policy legate ai programmi di remunerazione tramite la pubblicità per vietare l’accesso ai siti di fake news. La speranza è che, venendo meno la fonte di guadagno, si ponga un freno alla diffusione virale di “panzane” che, hanno accusato in molti, hanno contribuito in modo decisivo a far pendere l’ago della bilancia verso Donald Trump.

BANDO ALLE BUFALE

Durante la campagna elettorale Usa2016, le fake news hanno avuto enorme diffusione e attratto platee gigantesche sui social network come Facebook, Twitter e YouTube e su servizi di aggregazione di notizie come Google News. Si tratta non di opinioni di singoli, per quanto infarcite di pregiudizi, ma di “articoli” di pseudo-siti di informazione che hanno mandato in tutto il mondo notizie palesemente false, come quella in cui si annunciava che il popolarissimo attore Denzel Washington era entrato nel team Trump: un fake che ha ottenuto 10mila condivisioni in sei ore.

Google ha preso le redini in mano per prima aggiornando le sue regole e garantendo che da ora in poi vieterà l’uso di Google AdSense ai siti che danno una rappresentazione falsa dei fatti, nascondono informazioni o riportano dichiarazioni altrui in modo completamente errato. Facebook ha poi fatto seguito vietando l’utilizzo della Facebook Audience Network per chi propaga contenuti falsi o illegali.

FACEBOOK, ESAME DI COSCIENZA

Secondo il New York Times, l’azione intrapresa da Google e Facebook è la prova che i due colossi di Internet non vogliono e non possono più ignorare il potere che hanno acquisito nel distribuire informazioni alle persone, compreso l’elettorato americano.

Nell’ultima settimana, all’indomani del voto presidenziale, gli attacchi ai due colossi si sono moltiplicati proprio a causa dello spazio dato alle notizie false; Facebook in particolare è stata accusata da alcuni commentatori Usa di aver favorito il voto verso Trump tramite informazioni non veritiere che si sono rapidamente diffuse sul social network, compresa quella dell’endorsement di Papa Francesco a Donald Trump.

Sempre il NYtimes ha riportato che i top manager di Facebook si sono scambiati una serie di messaggi online subito dopo l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, chiedendosi se effettivamente il social network abbia avuto un impatto sull’esito del voto.

Di fronte alla pioggia di critiche ovviamente Mark Zuckerberg ha dichiarato pubblicamente che il 99% delle informazioni su Facebook è veritiero e che il social network non ha alcuno schieramento politico; l’idea che Facebook abbia influito sull’esito del voto con le fake news è stata definita dal Ceo “pura follia”. Eppure non solo sembra che molti executive di FB si siano chiesti se veramente abbiano una responsabilità nel forgiare opinioni e intenzioni di voto, ma, secondo BuzzFeed, un gruppo di dipendenti del social network avrebbe formato una task force interna per capire come risolvere un problema che, a loro detta, esiste eccome.

Per ora il gruppo, formato da qualche decina di persone, è segreto per permettere a tutti di parlare senza timore di ripercussioni, ma l’intenzione è di arrivare a stilare una lista di raccomandazioni per il top management. “Non è affatto follia, quel che è folle è che Zuckerberg neghi pubblicamente questo problema quando sa bene, e noi nell’azienda sappiamo, che le fake news hanno impazzato sulla piattaforma durante tutta la stagione elettorale”, ha dichiarato un dipendente di Facebook su BuzzFeed.

Sempre un’indagine di BuzzFeed News ha scoperto che, durante la campagna elettorale Usa, tre importanti pagine Facebook di news di orientamento “di sinistra” pubblicavano notizie false o fuorvianti in quasi il 20% dei post, mentre tre importanti siti di news “di destra” lo facevano il 38% delle volte. Conclude lo studio: “Il modo migliore per attrarre e far crescere i lettori di contenuti politici sul più grande social network del mondo è mettere da parte l’informazione obiettiva e far leva sulle forzature e le falsità con notizie del tutto fuorvianti ma che sono ciò che la gente vuole sentire”. O, come l’ha messa l’ex designer di Facebook Bobby Goodlatte: “E’ triste ammetterlo, ma News Feed è ottimizzato per ottenere engagement e come questa elezione ci ha dimostrato, le c….te sono molto engaging. A scapito della democrazia”.

GOOGLE, RISULTATI RIBALTATI

Zuckerberg era stato già accusato a inizio 2016 perché i suoi dipendenti avevano rivelato che le trending news venivano messe in classifica da curatori in carne ed ossa istruiti a dare più rilievo ai contenuti progressisti rispetto alle idee conservatrici; Zuckerberg ha di conseguenza licenziato il team e usato al loro posto degli algoritmi col risultato che nel trend sono salite le fake news.

Google non ha un “problema” esattamente uguale a quello di Facebook perché non è un social network: 1,6 miliardi di persone che condividono in tempo reale notizie false possono essere una catastrofe mediatica. Ma il motore di ricerca numero uno al mondo non è esente dal pregiudizio e dall’invasione delle notizie false: Mediaite ha riportato che, tra i primi risultati di ricerca di domenica scorsa per le parole chiave “final election vote count 2016”, compariva il link a un articolo sul sito “70News” secondo cui Trump, che aveva vinto nel Collegio elettorale, era avanti a Hillary Clinton anche nel voto popolare, quando in quel momento era vero il contrario.

Lunedì sera questo articolo era al numero 2 dei risultati di ricerca. Mediaite sottolinea che 70News è il sito auto-prodotto di un privato cittadino. Il fatto che l’internauta medio americano (come del resto accade per gli internauti di molti paesi) possa leggere e dare credito a siti e articoli senza porsi domande sull’affidabilità, le fonti e la necessità di confrontare più voci e applicare il senso critico è un’altra questione.

CHE COSA CAMBIERA’

Google AdSense e Facebook Audience Network hanno già delle policy di utilizzo relativamente severe – per esempio, non possono essere usati per i siti porno. Ora però, secondo i cambiamenti annunciati dalle due aziende, si andrà a caccia di siti di notizie false per vietare anche a questi l’accesso ai programmi di remunerazione tramite la pubblicità. Come? Non è chiaro, probabilmente molto sarà affidato ad algoritmi anche se, almeno su Google, possono essere coinvolti dei team di moderatori in carne ed ossa.

I siti che producono bufale non hanno necessariamente un’agenda politica: più di frequente sono persone o piccole società in cerca di guadagni. BuzzFeed ha scoperto per esempio che oltre 100 siti di fake news sono stati creati da ragazzi di una cittadina della Macedonia: sembra improbabile che abbiano agito per conto di Trump allo scopo di influenzare l’elezione americana; più plausibile è che gli smanettoni teenagers abbiano cercato un modo di racimolare soldi sfruttando i social network.

Reuters nota tuttavia che le nuove policy potrebbero non essere sufficienti. Facebook si limita alle regole per la pubblicità: i siti di notizie false non possono entrare nel Facebook Audience Network ma potranno sempre comparire nei contenuti condivisi dagli utenti in bacheca. Idem per Google: niente AdSense per i siti di fake news, ma nessuna azione per evitare, o limitare, la comparsa di informazioni false e tendenziose nei risultati di ricerca e non è previsto alcun meccanismo di rating sull’accuratezza delle notizie.

NON BASTA

Anche secondo TechCrunch le azioni intraprese ora per limitare i danni non sono sufficienti. Facebook, Google News, Twitter e altre piattaforme di grande risonanza sono troppo potenti per fare solo dei piccoli passi contro la disinformazione: dovrebbero segnalare a caratteri cubitali le notizie false e screditarle immediatamente per evitare che siano lette. Il sito americano di notizie hitech non fa sconti: Facebook deve correre ai ripari prima che altre elezioni nel mondo previste nel 2017 (Olanda, Francia, Kenya, Cile, ecc.) “siano falsate a favore di candidati populisti”. “Facebook ha oggi il ruolo di propagatore di notizie nella maggior parte delle nazioni”, si legge su TechCrunch: “Zuckerberg non può più nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che non ci sia un problema”.

Facebook ovviamente non è il solo canale digitale responsabile della propagazione di notizie, vere o false che siano; nelle presidenziali americane di quest’anno sono intervenuti in modo decisivo anche strumenti come le chatbot, sistemi automatizzati che hanno “sparato” a raffica messaggi di propaganda su canali come Twitter: Trump li ha usati in modo molto più efficace visto che i suoi bot hanno mandato sette volte più messaggi dei bot pro-Hillary Clinton. Quanto peso abbiano avuto nel risultato finale può essere difficile da quantificare, ma che esista una questione aperta sul potere dei canali social e online in genere nel diffondere informazione sembra incontrovertibile. Trovare la quadratura del cerchio tra rispetto della libertà di espressione e opinione e la possibilità di segnalare e isolare ciò che non è un’informazione ma una falsità e una manipolazione è il compito più difficile.


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