La “proposta-minaccia” avanzata dal professor Alessandro Pace in relazione ad un eventuale ricorso in caso di striminzita vittoria del Sì al referendum grazie -si teme- al voto degli italiani all’estero, incassa la perentoria bocciatura di uno dei testimonial del fronte del No: Massimo D’Alema.
Uno stop elegante-sarcastico in puro stile “baffiniano”: tagliente, sprezzante «per dimostrare certe cose servono le prove», indirizzato al mittente in diretta tv, davanti a milioni di spettatori, con un apparente quanto disarmante “buon senso”.
Questioni di second’ordine? Forse, ma la realtà sembra essere assai più cruda dei termini anche sugli scenari post-referendum: Grillo, Salvini e Meloni invocano le elezioni in caso di sconfitta del Sì per incassare il dividendo elettorale. D’Alema, Bersani, Speranza e la loro ditta chiedono che il governo resti perché hanno l’esigenza di prendersi il Pd prima del voto. Berlusconi da capo di Forza Italia, nel distinguersi da Mediaset schierata sul fronte del Sì, punta, come Cesa e De Mita, invece ad un governissimo di amplissima coalizione per tornare nella stanza dei bottoni senza pagare dazio e non rischiare di essere cancellati definitivamente.
Insomma tutto e il suo contrario. Un’accozzaglia? Macché, un rispettosissimo caos!