“Vedo grandi divisioni nella Chiesa. E se è vero che divisioni e polemiche ci sono sempre state, fin dai tempi di Pietro e Paolo, è anche vero che oggi, specie attraverso i social media, che sono catalizzatori di estremismi, si stanno creando solchi profondissimi”. A parlare è Aldo Maria Valli, giornalista e saggista, vaticanista alla Rai. Valli prende spunto in particolare dal modo in cui i media hanno dato conto e sintetizzato il messaggio sull’aborto contenuto nella Lettera apostolica Misericordia et misera di Papa Francesco: “Non puoi leggere un testo come Misericordia et misera, che fra l’altro non è neppure lungo – dice Valli – e arrivare a fare un titolo che dice “Assolvete medici e donne che abortiscono”. Se fai un titolo così vuol dire che vuoi strumentalizzare il Papa”.
Valli, non è la prima volta però che accade. A cosa è imputabile?
Le componenti che formano il quadro sono molteplici. Se parliamo delle versioni on line dei giornali, di cui mi sono occupato anche nel mio blog credo che una componente decisiva sia la fretta, unita alla necessità di sintetizzare in pochissime parole un messaggio che non può essere semplificato più di tanto.
Quindi solo superficialità?
Sì, ma anche ignoranza. Dico spesso che l’informazione religiosa assomiglia a quella scientifica: non si può usare allegramente una parola al posto di un’altra, non si possono confondere i concetti. E’ un’informazione che richiede, da parte di chi la fa, molto studio. Ora, è vero che tutti possiamo sempre sbagliare, in ogni momento, e io sono il primo a riconoscermi fallibile, eppure non posso fare a meno di notare che di religione, chissà perché, pensano di poter parlare tutti, anche se non possiedono alcuna preparazione specifica.
Sembra che si voglia tirare il Papa per la tonaca fino a fargli dire quello che non dice.
Non è da trascurare la componente malafede. Non puoi leggere un testo come Misericordia et misera, che fra l’altro non è neppure lungo, e arrivare a fare un titolo che dice “Assolvete medici e donne che abortiscono”. Se fai un titolo così vuol dire che vuoi strumentalizzare il Papa. Quel titolo è della versione on line di Repubblica. Che il giorno dopo, nella versione di carta, in prima pagina titola: “Il Papa e l’aborto. Sì al perdono per donne e medici”. Ora, qui non ci sono più giustificazioni né attenuanti. Chi fa il titolo per la versione cartacea ha avuto tutto il tempo di verificare, confrontare, approfondire. Eppure, alla fine, che cosa abbiamo? Una grande mistificazione, perché il perdono c’era anche prima! La novità del documento papale non è il perdono, che anche in precedenza veniva accordato ai penitenti nella confessione, ma il fatto che ora il perdono può essere concesso dai semplici preti senza ricorrere all’autorità superiore.
Dunque, perché avviene tutto questo?
Perché si usa Bergoglio per un proprio fine. Qualcuno lo fa in modo più raffinato, altri in modo più brutale, ma la sostanza è la stessa: per chi ha una visione ideologica della realtà, la cosa importante non è la realtà stessa, ma l’uso che se ne può fare per affermare le proprie tesi.
Di fatto Bergoglio non fa notizia quando parla contro aborto e gender, di cui pure si occupa.
La responsabilità è in gran parte di una stampa ideologizzata, che fin dall’inizio del pontificato di Francesco ha deciso di appiccicargli addosso l’etichetta di “progressista”, in contrapposizione a Benedetto XVI, nei confronti del quale era stata compiuta un’operazione analoga ma di segno opposto, appiccicandogli l’etichetta di conservatore. Nel teatrino dell’informazione si procede spesso per contrapposizioni, perché è più comodo, si pensa di guadagnare pubblico (e invece il pubblico è stanco) e perché alimentando la contrapposizione è anche più facile strumentalizzare. Naturalmente le contrapposizioni non tollerano le sfumature: ci vuole il buono e il cattivo, il “moderno” e il “tradizionalista”.
Si ha l’impressione che una certa “liquidità” sia voluta dallo stesso pontefice, a cui preme – parole sue – “aprire processi”.
Si può parlare di concorso di colpa, nel senso che ci sono anche responsabilità sue, del Papa. Amoris laetitia, per esempio, è un testo che nelle sue pagine più delicate (comunione a divorziati risposati) è ambiguo. Ma penso anche a tutte le volte in cui il Papa tuona contro i preti e le gerarchie, offrendo così su un piatto d’argento ai laicisti di vario genere l’occasione di esercitarsi nel loro sport preferito: sparare sulla Chiesa a colpi di luoghi comuni e generalizzazioni.
Nelle sue interviste il Papa a volte sembra dire e non dire.
Le interviste, che Francesco concede con grande disponibilità, sono un genere scivoloso, dove è facile lasciarsi scappare la parola o la frase avventata. E gli esempi qui potrebbero essere tanti. Può essere che, così facendo, il Papa pensi di “aprire processi”, ma che significa aprire processi? Processi verso dove, per fare cosa? A volte le argomentazioni del papa appaiono vaghe. Per esempio, quando dice che la Chiesa deve essere un ospedale da campo. Bella espressione, ma che significa? Dobbiamo curare le ferite, dice Francesco. Ma curare come? Per approdare a che cosa? A un benessere psicofisico o alla salvezza dell’anima? E se in gioco c’è, come io credo, la salvezza dell’anima, come si fa a eliminare dall’orizzonte tutta la dimensione del giudizio divino e della responsabilità soggettiva di fronte alla legge?
Una causa della mancanza di comprensione del messaggio di Francesco può essere imputabile alla sua rilevante presenza sui media?
L’esposizione mediatica del Papa meriterebbe una riflessione a parte. Se fino a un centinaio d’anni fa uno poteva essere cattolico e non conoscere neppure il nome del pontefice, oggi il successore di Pietro ha assunto una centralità impressionante. Certo, molto dipende dai progressi dei mezzi di comunicazione (e sappiamo che la Chiesa è sempre stata abile nell’utilizzare questi strumenti), ma molto dipende anche dalla mancanza di altre figure di spessore paragonabile a quello del papa. La crisi della politica, dell’economia e, in generale, del pensiero, ha determinato un vuoto enorme, e il Papa lo riempie, spesso anche andando ben al di là di quelle che dovrebbero essere le sue “competenze” in senso stretto. E’ un processo incominciato con Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II e poi arrivato a maturazione con Giovanni Paolo II, un autentico mattatore sulla scena mediatica.
Tornando alla Lettera appena pubblicata, non si cambia una virgola di dottrina. Eppure molti commentatori, anche ecclesiastici, guardano già oltre. Non sarà che il fraintendimento del Papa è, per così dire, cercato all’origine?
Non lo so. Quello che vedo è che Francesco sta seguendo un suo percorso. Secondo lui, a una società come la nostra, che non è più soltanto scristianizzata ma è ormai pagana, non ha senso rivolgere messaggi all’insegna dei valori non negoziabili o dei doveri morali. L’unica cosa che si può fare, a suo giudizio, è proporre il messaggio della misericordia di Dio, mostrando il volto di un Padre buono che abbraccia tutti ed è sempre pronto a perdonare. Ecco perché tuona contro i legalisti e le sue parole d’ordine sono accoglienza e accompagnamento. Questa operazione può davvero avvicinare di nuovo le persone al Vangelo e alla Chiesa? Ho i miei dubbi. Mi sembra piuttosto che rischi di ridurre il messaggio cristiano a una melassa buonista e politicamente corretta.
Dove porterà la strada scelta da Francesco?
Anche in questo caso non ho risposte. Però vedo grandi divisioni nella Chiesa. E se è vero che divisioni e polemiche ci sono sempre state, fin dai tempi di Pietro e Paolo, è anche vero che oggi, specie attraverso i social media, che sono catalizzatori di estremismi, si stanno creando solchi profondissimi.