“Dalla visita di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, gli intellettuali di sinistra europei hanno scritto affascinati di questo esperimento ideologico, sapendone molto poco. È vero che ci garantiscono la sanità e l’istruzione, ma noi cubani – che oramai abbiamo smesso di essere cittadini – abbiamo pagato un prezzo molto alto: abbiamo perso i diritti individuali dell’uomo, la nostra libertà”.
Così commenta la morte di Fidel Castro lo scrittore cubano e blogger dissidente, Orlando Luis Pardo Lazo. In un’intervista telefonica con Formiche.net, lo scrittore ricorda che durante gli anni trascorsi tra l’asilo e l’università, la presenza di Fidel Castro in tv è stata continua: “Parlava per cinque, sei, sette ore. Andavo a giocare e lui era in tv a fare un discorso. Tornavo, cenavo, ed era ancora lì. A Cuba non c’era politico che potesse parlare più di 10 minuti e lui parlava per ore. Nessuno metteva in discussione la sua presenza, nessuno diceva che era un dittatore”.
L’INFLUENZA DI FIDEL
Secondo Pardo Lazo, tutti i cubani possono dirsi castristi, anche quelli che sono contro il regime: “Fidel è sempre stato presente e continua ad essere il protagonista di tutte le nostre storie. Abbiamo adottato il suo modo di gesticolare, le sue battute, l’ironia, i commenti”. Ma con i ragazzi tra i 20 e 25 anni, la storia è diversa: l’influenza è stata minore. Dal 2006, quando Fidel ha lasciato la presidenza di Cuba, la sua figura è scomparsa dalla vita quotidiana dei cubani. “Io ricordo a memoria passaggi dei discorsi di Fidel. Conosco ragazzi di 20 anni che non hanno mai sentito uno dei suoi discorsi”, spiega Pardo Lazo.
LA NARRATIVA DI UN’UTOPIA
Autore di “Boring Home”, del blog Lunes de Post Revolución e The Revolution Evening Post, vincitore del Premio Kafka 2009, Pardo Lazo ha cominciato a criticare la dittatura castrista con l’introduzione dell’embargo e l’inizio della crisi economica. Crede che con la morte di Fidel sia finita un’epoca: “Per noi blogger, dissidenti, scrittori, è morta la nostra materia prima. Possiamo continuare a discutere di Raúl Castro, ma il suo è un regime economico-militare. Quello di Fidel era una narrativa, un’utopia di sinistra a livello mondiale. Una dittatura personalizzata. Era morto da tempo, ma con la morte fisica è arrivata la fine totale”.
IL RUOLO DEL NIPOTE ALEJANDRO
La scomparsa fisica del leader cubano è un importante cambiamento simbolico, ma il regime ha avuto tutto il tempo per prepararsi alla transizione. Fidel Castro non era più lo stratega del castrismo. “Nel 2006 erano tutti molto più nervosi davanti all’idea della morte di Fidel. Oggi eravamo in attesa – sostiene Pardo Lazo – . Raúl Castro ha eseguito per tempo l’auto-transizione. Ha sostituito tutti i personaggi chiave del governo: Felipe Pérez Roque, Carlos Lage. Nel 2018 sono previste nuove elezioni per la segretaria del Partito Comunista Cubano e l’Assemblea nazionale. Sono sicuro che suo figlio, Alejandro Castro Espín – colonnello del ministero dell’Interno, secondo uomo del governo di Raúl e personaggio chiave nelle trattative con Barack Obama per l’apertura – prenderà la guida del Paese. Non è un uomo intelligente, ma pazienza”.
Per lo scrittore, tutto dipenderà dalla situazione economica. E dall’atteggiamento dell’amministrazione di Donald Trump. Il regime potrebbe durare due mesi o altri 10 anni. A Cuba non c’è stupore: per le strade non ci sono manifestazioni, l’unica soluzione per i cubani è lasciare Cuba.
ESPERIMENTO SOCIALE
“Il livello delle relazioni internazionali di Cuba è ai massimi storici – precisa lo scrittore – . Ha buoni rapporti con Russia, Iran, Cina, Corea del Nord, Venezuela e tutta la sinistra populista dell’America latina. Ma anche con l’Unione europea. Tutti sono buoni e gentili, offrono aiuti al regime cubano, con una nota a margine: ‘Mi raccomando i diritti umani’. Ma così nulla cambierà”.
E cosa dice agli intellettuali di sinistra europei che ricordano con nostalgica ammirazione Fidel Castro? Risponde: “Anche per loro è finita l’utopia della sinistra socialista. Con questi commenti ci stanno ricordando che siamo stati un laboratorio sociale. Per loro noi cubani siamo gente selvaggia, con poche capacità, che ha bisogno di un re supremo che ci controlli. Dalla visita di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, gli intellettuali di sinistra europei hanno scritto affascinati di questo esperimento ideologico, sapendone molto poco. È vero che ci garantiscono la sanità e l’istruzione, ma noi cubani – che oramai abbiamo smesso di essere cittadini – abbiamo pagato un prezzo molto alto: abbiamo perso i diritti individuali dell’uomo, la nostra libertà”.