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Tutte le baruffe interne al Pd dopo la scoppola referendaria

Pier Luigi Bersani, voto

Follow the money. Nelle zone economicamente più povere prevale il No, in quelle più ricche, invece, il Si. Nei 100 comuni con più disoccupati il No vince con il 65,8%, nei 100 con meno disoccupati vince il Sì con il 59%. Segno che il ceto medio, impoverito e disilluso, non ha creduto a questa riforma, ma ha necessità di “altro”. E non è un caso.

Insomma, c’è un fronte di opposizione strutturale alle istituzioni, a questa Europa, a questa politica. C’è una domanda di cambiamento enorme a cui, però, manca una qualunque progettazione politica che non sia quella del “vaffa” o “prima gli italiani”. Una massa di “scontenti” che nel Secondo Dopoguerra declinava la protesta economica in ideologie comuniste, socialiste o legate alla lotta di classe, ma che oggi, invece sfocia in “sovranismo”, “populismo” e “nazionalismo”.

Ora, all’interno del Fronte del No, Bersani e D’Alema possono provarci quanto vogliono, ma i vincitori sono i 5 Stelle prima e la Lega poi. E poi Berlusconi, ma non certo la “sinistra Pd”. Quindi, è ovvio che Lega e 5 Stelle vogliono andare al voto subito per passare all’incasso. Anche con questa legge elettorale (il Consultellum al Senato, Italicum come verrà sentenziato dalla Consulta su premio di maggioranza e capolista bloccati). La sinistra del Pd, Berlusconi, i centristi, invece, vogliono proseguire la legislatura. E il fatto – assai rilevante – che i parlamentari maturano il vitalizio nell’autunno 2017 (dopo 4 anni e 6 mesi dall’elezione) allontana l’ipotesi delle urne.

Poi c’è la questione su che farà Renzi. La pattuglia dei “renziani” in parlamento da oggi è meno numerosa, perché molti sono stati eletti quando a guidare la segreteria del Pd c’era Bersani. Ora, visto che il Pd ha 400 parlamentari, ancora una volta il destino della legislatura – e in un certo senso del Paese – è legato alla battaglia interna al Pd. Attenzione, quindi, a cosa succede al Nazareno. Speranza, Franceschini e molti altri esponenti di rilievo chiedono a Renzi di rimanere, quasi a volerne fare il bersaglio facile del prossimo debole governo di compromesso parlamentare. Ma a Renzi, invece, avendo personalizzato il referendum, conviene personalizzare fino alla fine, ipotizzando una sorta di “scenario De Gaulle”, quando il generale si allontanò dalla vita politica dopo una sconfitta elettorale, per poi essere richiamato da salvatore della patria nel 1958, dopo il caos in Algeria. Ma, se anche non fosse questo lo scenario, Renzi ha comunque la priorità di non farsi logorare ulteriormente, come invece accadrà a chiunque vada oggi a Palazzo Chigi, perché qualunque esecutivo sarebbe senza consenso, senza legittimità, di transizione, con la sola possibilità di barcamenarsi tra maggioranze instabili.

Inoltre Renzi si è speso per la “governabilità”, quindi deve dimostrare che così – con questa Costituzione – non si governa. E farà tutto il possibile per rispettare nella pratica il senso della riforma mancata (partito di governo, statuto delle opposizioni…), che riguardava anche l’indicazione chiara delle responsabilità, quindi della “accountability”: adesso lui si assume le sue, dimostrando però che con il sistema attuale nessun altro si assume le proprie. E così lascia la palla in mano agli altri, come ha già fatto con la conferenza stampa.

Certo, tra i giovani non c’è proprio nessuna speranza nelle istituzioni. Nella fascia tra 18 e 55 anni, il consenso al Pd è al 25%, mentre quello dei 5 Stelle è al 33%. Inverso il sentiment per gli over 55, quando il Pd raggiunge il 37% e i 5 Stelle il 21,3%. Non è un caso che il Si abbia prevalso nella fascia over 55, ma che sia stato sotto al 30% per tutti gli altri. Ecco, come emerge da tutte le rilevazioni – ultima quella del Censis – quasi 2 italiani su 3 non prevedono un miglioramento nei prossimi anni e il 57% è convinto che i figli non staranno meglio dei genitori. Insomma, triste cinismo consapevole che non viene stemperato da un bonus da 500 euro. Da chi è più giovane, insomma, poco credito alle istituzioni. Ed è un peccato che anche il Presidente Napolitano sia finito in questo calderone. Questa sconfitta di Renzi è anche la sua sconfitta: tutte le sue forzature sono saltate.



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