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Verità e bugie sul Monte Paschi di Siena

Guido Salerno Aletta Erdogan

Sulla questione della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena, per ben 5 miliardi di euro, occorre  fare una premessa. Si tratta di una misura precauzionale, richiesta dalla Vigilanza unificata della Bce, a seguito degli stress test effettuati nel luglio scorso: se, infatti, si verificasse lo scenario economico avverso definito dall’Eba, il Cet1 (il rapporto tra il livello di capitalizzazione e l’insieme dei prestiti, comprese le sofferenze) passerebbe da un Cet1 nel 2015 del 12,01% a un Cet1 a 2,23% nel 2018. Solo in questa ipotesi non ci sarebbe il capitale sufficiente a coprire i prestiti. In realtà, il Monte non solo ha il bilancio di esercizio in attivo ed il capitale intonso, ma non versa in alcuna delle ipotesi per cui si potrebbe chiederne la liquidazione ed ancor meno la conversione delle obbligazioni subordinate. C’è, in realtà, da fronteggiare la eventuale ulteriore svalutazione delle sofferenze, pari a 27 miliardi di euro, che si è deciso di scorporare cedendole sul mercato. Avrebbero potuto essere confinate in una Bad bank, e gestite nel lungo periodo cercando una soluzione di risanamento anziché di liquidazione. Si è ceduto, anche in questo caso, alla fretta.

Il piano di ricapitalizzazione sul mercato, come era stato proposto a luglio scorso, non ha fatto passi in avanti considerevoli: è stato riformulato, e la ricerca di nuovi azionisti è stata da ultimo condizionata, ed ora sembra essersi arenata, all’esito del referendum sulla Riforma costituzionale. Anche la proposta formulata al mercato di aderire alla conversione delle obbligazioni subordinate, con l’impegno contestuale a sottoscrivere l’aumento di capitale, non sembra essere stata una felice intuizione: avrebbe dovuto essere una opzione complementare alla avvenuta individuazione dei cosiddetti anchor investor, e non la premessa da cui partire.

Si prospetta, ora, un intervento pubblico, con un acquisto delle obbligazioni subordinate dei sottoscrittori retail, da convertire in nuove azioni, azzerando contemporaneamente le quote in possesso degli operatori istituzionali: è una ipotesi assai bislacca, visto che non c’è un bail-in  in corso. Tra l’altro, una operazione del genere dovrebbe seguire l’azzeramento completo del capitale, il che è ben strano visto che non ci sono perdite da coprire. Ancora una volta, sembra che si tratta di una operazione volta a consentire di metter le mani sul tesoretto delle sofferenze, mettendo a carico del Monte ulteriori svalutazioni oltre al costo delle garanzie che saranno apprestate dal Tesoro su una quota rilevante di queste.

Occorre restituire subito certezza al mercato, agli investitori ed agli obbligazionisti: un intervento pubblico di tipo precauzionale, come precauzionale è la richiesta di integrazione del capitale in considerazione del possibile verificarsi di scenari avversi, può configurarsi apprestando semplicemente una garanzia sull’aumento di capitale necessario. Non c’è neppure bisogno di continuare a cercare nuovi soci, e garantire la sottoscrizione dell’inoptato dal mercato. Non si capisce, infatti, che cosa comprerebbero i nuovi azionisti, visto che la banca è in bonis e gli attuali azionisti non possono essere legittimamente spossessati. Solo se, e quando, un evento negativo dovesse effettivamente verificarsi in danno del Monte, allora lo Stato interverrà. Così come solo allora sarà apprestato il capitale occorrente per la capitalizzazione della Bad bank a cui trasferire la gestione delle sofferenze. D’altra parte, è prassi comune degli azionisti impegnarsi a sottoscrivere il capitale, riservandosi di versarlo interamente solo quando effettivamente serve.

La Vigilanza unificata si sta dimostrando un sistema assai nocivo. Anche Unicredit è stato indotto a cedere asset preziosi per aumentare la capitalizzazione: sta incassando cash, o carta, di certo meno redditizi.

Il Tesoro ha già commesso un grave errore, accettando di incassare il rimborso per contanti dei Tremonti/Monti bond che erano stati concessi per sostenere il Monte dei Paschi in difficoltà. Con una mano ha dato, ma con due ha preso, considerando i lauti interessi cui il prestito era stato subordinato.  Non chiuda ancora occhi, orecchie e bocca, come sembra che abbia fatto di recente, fidandosi ed affidandosi.  È il primo azionista del terzo gruppo bancario italiano: sottoscriva dunque l’aumento richiesto, riservandosi di versarlo se e quando sarà necessario, iscrivendo nel frattempo la garanzia per memoria nel bilancio. Così si fa, se e quando si vuole fare.


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