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Ecco le microimprese (e le pmi) italiane che trainano l’economia. Report Cerved

Piccolo è bello? E lo è ancora dopo l’onda lunga della crisi? È quello che abbiamo cercato di approfondire studiando lo scenario delle pmi italiane. “Nonostante il recupero sia iniziato in ritardo, soprattutto in termini di ricavi, nel 2015 le microimprese registrano tassi di crescita positivi e superiori a quelli delle PMI, sia per quanto riguarda fatturato che per il valore aggiunto”. A dirlo a Formiche.net è Guido Romano, Responsabile Ufficio Studi di Cerved, leader in Italia nell’analisi del rischio di credito e nella gestione dei Npl. Nel 2015 i ricavi anno su anno sono aumentati del 3,2% per le micro, contro il 3,1% delle pmi e il valore aggiunto ha guadagnato il 4,9% per le prime rispetto al 3,7% delle seconde, ribaltando completamente la situazione dei due anni precedenti in cui in termini di giro di affari le imprese più piccole segnavano valori negativi e solo un +0,5% sul valore aggiunto del 2014.

Perché questo dato è importante? Perché le microimprese, ovvero le imprese che, secondo la classificazione della Commissione europea, hanno un livello di fatturato entro i 2 milioni di euro e massimo 10 dipendenti o 2 milioni di attivo, sono il cuore pulsante dell’economia reale italiana. E, se migliorano loro, è un segnale positivo anche per la situazione a livello macro: le pmi sono le prime ad accusare i colpi delle crisi. L’analisi di Cerved è stata realizzata, a dicembre 2016, sulle microimprese che hanno la forma giuridica di società di capitale e più di un bilancio presentato: si tratta di un campione di circa 400mila microimprese; contro le 140mila pmi. Esistono però numerose altre microimprese che nell’analisi non vengono considerate (imprese individuali, società di persone: registrate circa 4 milioni, che tipicamente sono micro).

“Negli anni della crisi c’è stata una forte selezione che ha portato all’uscita dal mercato le realtà più fragili – dice ancora Romano – e a una forte contrazione della redditività. Nel 2015, il Mol delle microimprese è tornato a crescere, a ritmi maggiori di quelli delle PMI (+4,9% vs +3,9%), ma c’è ancora molto terreno da recuperare: i debiti finanziari sono un multiplo pari a 5,4 il MOL (3,6 prima della crisi) e tutti gli indicatori di sostenibilità finanziaria indicano una situazione di maggiore fragilità rispetto a quella delle PMI. Alti livelli di debito indicano che, rispetto alle pmi, le microimprese potrebbero soffrire di più un eventuale deterioramento della congiuntura, con un ritorno alla crescita dei default”. Anche perché più della metà sono vulnerabili o rischiose, secondo il Cerved Group Score, l’indicatore che sintetizza il rischio di default delle imprese italiane sulla base di un ampio set di indicatori (bilancio, scenari geo-settoriali, andamenti di mercato, eventi negativi, abitudini di pagamento). In generale invece l’area di solvibilità per le pmi si è ampliata “grazie ai saldi positivi della demografia e ai saldi upgrade-downgrade, l’area di rischio si è ridotta per effetto dell’uscita dal mercato delle imprese fragili”, spiega Romano.

Il contributo principale all’allargamento dell’area di solvibilità è fornito dal saldo tra le PMI il cui profilo di rischio economico-finanziario è migliorato (upgrade, da rischio/vulnerabilità a solvibilità) rispetto a quelle che invece registrano un peggioramento (downgrade, da solvibilità a vulnerabilità/rischio): per effetto di questi movimenti, al 2015 si contano 2.631 pmi solvibili in più. Il secondo fattore positivo è costituito dalle migrazioni tra la fascia di microimprese e la fascia di PMI: per effetto di questi movimenti, si contano 1.695 pmi solvibili in più. Insomma il contributo delle microimprese all’economia italiana è importante per molte ragioni e non andrebbe trascurato.


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