Skip to main content

Unicredit, Mps, Carige e non solo. Quanto costa mettere in sicurezza le banche (secondo Pimco)

Marco Morelli

Cosa può fare l’Italia per rafforzare il suo sistema bancario? È la domanda a cui cerca di dare risposta Philippe Bodereau, Portfolio Manager e Responsabile Globale per la ricerca sugli istituti finanziari di Pimco, società di investimento globale fondata in California nel 1971 da Bill Gross (uscito un paio di anni fa), che opera in America, Europa e Asia con uffici in 12 Paesi. Una risposta, quella di Pimco, che alla fine è rassicurante perché individua una possibile via d’uscita, senza le difficoltà insormontabili a cui si è ormai abituati a pensare in un contesto di fragilità politica interna ed europea.

SVALUTARE LE SOFFERENZE E RIMPINGUARE IL CAPITALE

“Il quadro generale è piuttosto semplice – dice Bodereau – Le banche italiane sono oberate da un ammontare significativo di crediti in sofferenza, che sono stati valutati a prezzi più elevati rispetto a quelli che gli operatori di mercato sono disposti a pagare. Per sbloccare la situazione, gli istituti bancari devono operare una svalutazione di tali prestiti e raccogliere nuovo capitale al fine di rafforzare la loro situazione patrimoniale”. E, sorpresa, i costi legati al risanamento del sistema bancario domestico non sono insopportabili, secondo Pimco.

QUANTO COSTA SALVARE LE BANCHE

Secondo le stime di Pimco, per consolidare i bilanci delle banche italiane occorre un’iniezione di capitale di circa 30-40 di euro miliardi. Una cifra gestibile perché “in primo luogo, non è imponente nel contesto dell’economia italiana. Rispetto alla crisi bancaria irlandese, che ha pesato per il 30% del Pil, e a quella spagnola, che ha richiesto fondi quasi del 10% del Pil, la crisi italiana potrebbe essere verosimilmente risolta con un costo che si aggira intorno al 2% del Pil”. Ci sono almeno altre due ragioni che consentono alle banche di stare tranquille – forse meno ai piccoli investitori: la prima è che una porzione significativa di questi fondi potrebbe giungere dal settore privato: “ad esempio – continua Bodereau – UniCredit sta approntando un ampio programma di ricapitalizzazione, che sarà coperto molto probabilmente da investitori azionari nuovi ed esistenti. Secondo, i contribuenti italiani sarebbero chiamati a supportare le banche che hanno accesso limitato ai mercati pubblici. Tuttavia, riteniamo che l’esborso complessivo potrebbe essere mitigato dalla conversione delle obbligazioni subordinate in azioni. Monte Dei Paschi, ad esempio, potrebbe potenzialmente raccogliere più di 4 miliardi in questo modo”. Tenendo conto dei finanziamenti privati e della conversione del debito subordinato, crediamo che il governo italiano possa risolvere il problema delle sofferenze con una spesa pubblica di circa 10 miliardi.

PERCHE’ LO SCENARIO PUO’ PEGGIORARE

Naturalmente, la situazione potrebbe peggiorare. “Le decisioni di ricapitalizzazione potrebbero essere rinviate o cancellate in accordo con il calendario politico – dice Bodereau – In alternativa, nel timore di una conversione del debito subordinato, è possibile che i correntisti inizino a ritirare i loro depositi dagli istituti affetti dalle maggiori difficoltà, indebolendoli ulteriormente. È probabile inoltre che vengano fuori nuovi scheletri dall’armadio dei prestiti in sofferenza. Data l’entità delle cifre, tuttavia, è difficile ipotizzare uno scenario in cui la situazione sfugga al controllo”.

LE PREFERENZE DI PIMCO

Dunque, la situazione è sotto controllo, ma il gestore di Pimco sottolinea anche che all’orizzonte c’è molta volatilità sui titoli. Dunque, pur “ravvisando valore nella parte inferiore della struttura del capitale delle banche dell’area euro (emissioni AT1 e titoli azionari)”, investirà selettivamente e prediligerà “le banche spagnole e irlandesi a quelle italiane”. Gestibili, sì, ma non troppo.
“Per quanto le sofferenze degli istituti italiani potrebbero essere gestibili – conclude l’esperto – ciò non significa che si tratterà di un processo privo di ostacoli; i rischi di perdite permanenti in conto capitale nelle banche più deboli sono elevati. Per contro, le banche irlandesi e spagnole sono state risanate e beneficiano generalmente di solidi fattori macro e di governi stabili”.


×

Iscriviti alla newsletter