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Vi spiego gli effetti dell’attentato ad Ankara sulle relazioni Turchia-Russia. Parla Di Liddo (Cesi)

“La motivazione che ha spinto Mevlut Mert Altintas, poliziotto o ex poliziotto turco – ancora non è chiaro – a uccidere l’ambasciatore russo in Turchia Andrey Karlov, è legata sia ai rapporti Russia-Turchia che al comportamento russo in Siria. L’urlo “Allahu Akbar” e le successive frasi esplicite rivolte ad Aleppo (“Voi sparate in Siria e io sparo a voi. Nel nome di Allah non ve lo permetteremo”), indicano un movente chiaro, sia psicologico che politico”. Così Marco Di Liddo analista del Centro Studi Internazionali (Cesi), commenta con Formiche.net l’attentato di ieri sera nella Galleria di Arte contemporanea ad Ankara.

È presto per stabilire se si tratti di un lupo solitario o della pedina di un’organizzazione strutturata, ma ciò che deve fare riflettere è il contesto nel suo complesso, dice l’analista del Cesi diretto da Andrea Margelletti: un uomo – Altintas – che faceva parte della polizia turca, un professionista che ha ottenuto un certo addestramento (diplomato alla scuola di polizia di Smirne) e che dunque sarebbe dovuto essere quanto più immune possibile a quel tipo di sedizione, si è invece rivelato vulnerabile. “Questo vuol dire”, spiega Di Liddo, “che una crescente parte della società turca ha assorbito sentimenti di conservatorismo religioso. Un’azione del genere, fatta per Aleppo, sottintende una solidarietà fra musulmani sunniti, presuppone che l’attentatore, un ragazzo di 22 anni, fosse sensibile a queste tematiche e porta dunque a pensare che in Turchia la ‘pancia del paese’ potrebbe andare nella direzione di un ultra conservatorismo religioso, che si manifesta in azioni violente”. Da un lato, quello più interessato a colpire l’ambasciatore russo potrebbe essere stato Isis, tuttavia l’analista del Cesi in questo caso intravede “più un fenomeno sociale che organizzativo; viviamo in un’epoca in cui più andiamo avanti più i fenomeni della radicalizzazione, del terrorismo e dello jihadismo diventano liquidi, meno strutturati”. Inoltre, prosegue, “ritengo difficile che Isis sia riuscita nel capolavoro di infiltrarsi nella polizia turca”.

Dalla Turchia si apprende che il poliziotto forse avrebbe perso il lavoro dopo il colpo di Stato, perché ritenuto vicino a Hizmet, ma se una responsabilità dell’organizzazione di Fethullah Gulen, “non si può escludere del tutto, ha un po’ il sapore di speculazione politica”, secondo Di Liddo. “Quando i turchi danno la colpa a Gulen bisogna andare coi piedi di piombo: Hizmet viene ritenuto un gruppo terroristico da un anno a questa parte, ma prima Erdogan, Hizmet e Gulen andavano a braccetto, l’organizzazione ha aiutato il presidente a prendere il potere nei primi anni Duemila”.

L’intento, comunque, era quello di colpire la Russia e i tentativi di riavvicinamento fra Erdogan e Putin, tentativi “che in Turchia non sono ben visti”. Ma i rapporti fra i due Paesi non verranno intaccati, dice l’analista: “A margine del gesto entrambi i leader hanno parlato di un atto di provocazione fatta per destabilizzare, ma le trattative fra i due Paesi andando avanti: questo è un gesto diverso dall’abbattimento del cacciabombardiere di oltre un anno fa. In quel caso si trattava dell’azione deliberata di un governo contro un altro, mentre qui siamo di fronte all’azione di un terrorista o di un’organizzazione terroristica, che agisce per conto proprio. Il danneggiato non è solo la Russia, ma anche la Turchia”.

L’incontro tra i ministri degli Esteri di Russia, Turchia e Iran in programma oggi a Mosca, dunque, si farà e si cercherà un’intesa sulla Siria, come previsto. Anzi, quanto accaduto potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta verso un accordo: “Dopo un attentato di questo tipo i protagonisti potrebbero essere più motivati a cercare un’intesa, non solo per onorare la memoria dell’ambasciatore, ma anche per spazzare via ogni dubbio riguardo la loro volontà politica”. È una trattativa complessa, perché gli interessi dei tre paesi non sono convergenti, “ma la Turchia è l’attore negoziale più debole”, spiega l’analista, “quindi è maggiormente incline a qualche concessione riguardo il futuro di Assad e della Siria. Cercherà di strappare le condizioni migliori, che consistono in una zona cuscinetto a nord del paese, dunque al confine turco-siriano e in una concessione sullo status politico dei curdi. Visto che nel frattempo la posizione di Assad in questo momento sembra difficilmente raggiungibile”.

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