Le ultime informazioni diffuse dalla stampa sostengono – riferendo quanto affermato dal vicepremier turco Veysi Kaynak – che il terrorista che ha attaccato il nightclub Reina di Istanbul la notte di Capodanno è un uiguro. Report turchi ipotizzano che sia volato in Turchia dal Kyrgyzstan (da Bishkek vi sono voli giornalieri per Istanbul). Secondo le forze di sicurezza il militante è ancora ad Istanbul dove si nasconderebbe in una casa. La preparazione dell’attacco avrebbe richiesto un paio di settimane nella capitale ed egli avrebbe avuto connessioni in varie aree della città.
L’Asia Centrale starebbe emergendo come una fonte di jihadisti, secondo l’opinione degli analisti riportata da The Times. Si parla di duemila o forse anche quattromila individui provenienti dall’Asia Centrale (kazachi, kirghisi, usbechi, tagichi, turcomanni). Chi parte spesso si porta dietro i figli, che vanno a formare i cosiddetti Cuccioli del Califfato, che vengono addestrati come combattenti (sempre The Times ricorda come fossero dei ragazzini kazachi decenni dal volto innocente ad uccidere con un colpo alla nuca le “spie” le cui esecuzioni appaiono in dei video). Partono da nazioni più o meno repressive e impoverite, arrivati in Turchia possono integrarsi facilmente perché – a parte il tagico – parla lingue turcofone. Per Charlie Winter – che si occupa di propaganda jihadista al King’s College di Londra – i combattenti dell’Asia centrale (già famosi come forza di elite nel movimento), molti usati per operazioni suicide, raggiungeranno il successo in pochi anni. Sempre The Times riporta l’opinione di Theodore Karasik, senior adviser con Gulf State Analytics, secondo il quale IS avrebbe una vera e propria strategia di inclusione dell’Asia centrale, e lo Xinjiang era un obiettivo ovvio: “penso che parte della strategia di Isis sia quella di destabilizzare la Turchia con questi attacchi abbastanza da attirare l’attenzione del resto della loro comunità. Un esercizio di reclutamento”.
Fonti della polizia turca hanno confidato di aver effettuato il 5 gennaio diversi arresti nella periferia di Istanbul di persone di etnia uigura. L’operazione è stata condotta dalla sezione antiterrorismo del dipartimento di polizia di Istanbul. Molti uiguri vivono nello Xinjiang, regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese (RPC). La RPC spende oggi più denaro per la sicurezza interna che per la difesa militare. I principali rischi interni sono rappresentati dall’evoluzione che i separatisti (in particolare gli uiguri nella regione a nord-ovest, lo Xinjiang) stanno sperimentando. La recente svolta nella strategia dei movimenti separatisti uiguri (di origine turca e musulmani) porta a conseguenze tra loro contrapposte. Da una parte l’allargamento ad obiettivi civili e non più solo simbolici (poliziotti, ad es.) e la distanza degli attentati rispetto alla regione considerata occupata dai cinesi di etnia Han (ossia lo Xinjiang) rende più difficile il compito per gli apparati di sicurezza del governo centrale. Nel 2015 il governo cinese stimava trecento propri cittadini presenti a combattere in Siria. Molti unitisi al sottogruppo a prevalenza uigura chiamato Turkestan Islamic Party.
Già da anni movimenti come il TIP (Turkistan Islamic Party) hanno iniziato ad utilizzare Internet, i social network e i video per provocare il governo, ma anche per ispirare potenziali o effettivi militanti. Questo spiega la stretta che la censura cinese conosce soprattutto in quelle regioni “calde” e specialmente alla vigilia di anniversari particolari. Gli integralisti islamici nel mondo cominciano a vedere anche la Cina come un Paese imperialista, specie da quando essa è fortemente presente in Africa. Da un punto di vista geografico la regione autonoma dello Xinjiang è strategicamente più importante di quella autonoma del Tibet, in quanto rappresenta il solo collegamento terrestre tra la Cina e l’Asia Centrale (era infatti parte della c.d. Via della Seta).
Grandi imprese multinazionali già fanno affidamento sulla rete ferroviaria che dalla Cina porta ad Amburgo (Germania) passando per la Russia, in quanto più rapida rispetto alla tradizionale via marittima, e non importa se più costosa. Questo vuol dire che l’alta densità di popolazione della Cina orientale, il maggior sviluppo economico e la maggior urbanizzazione potrebbe presto verificarsi anche nello Xinjiang. D’altra parte il governo centrale sta già da tempo puntando molto sullo sviluppo economico della regione (campagna go west), nonché sulle infrastrutture come gasdotti e oleodotti, dopo che da decenni ha deciso e realizzato la “Hanificazione” del Tibet e dello Xinjiang.
Il governo riserva un trattamento di favore anche dal punto di vista fiscale alle persone di etnia Han (cioè alla maggioranza dei cinesi) che si trasferiscono nello Xinjiang. Così la pressione demografica e l’handicap linguistico (moltissimi uiguri non parlano il cinese mandarino, ma sono di lingua turcofona) provocano sempre maggiore risentimento (scontri ad Urumqi nel 2009 provocarono circa 200 morti), anche perché comportano l’impossibilità di accedere ai lavori meglio retribuiti. Gli accadimenti nelle due regioni sono perciò strettamente interconnessi: concedere più autonomia ai Tibetani significa rinfocolare le istanze degli uiguri, e viceversa.
L’Economist ha riportato la notizia che la Shanghai Cooperation Organisation (SCO) – lo scorso agosto 2014 – ha effettuato la propria più grande esercitazione congiunta antiterrorismo nella Mongolia interna in Cina, in cui erano coinvolte più di settemila persone. L’articolo ricorda che i nemici della SCO sono le “three evil forces”: terrorismo, separatismo ed estremismo. Tutti i membri si ritrovano in casa o sui propri confini una minaccia terroristica di matrice islamica (ad esempio la Cina nello Xinjiang o la Russia in Cecenia). Da qui l’affermazione del presidente Xi Jinping che lo SCO dovrebbe “focalizzarsi nel combattere l’estremismo religioso e quello legato ad Internet”. L’estremismo uiguro – oltre ad essere peggiorato di recente – vede anche combattimenti al fianco di gruppi jihadisti in zone come, ad esempio, le aree tribali del Pakistan. Secondo alcuni report alcuni uiguri si sarebbero uniti a Daesh in Iraq e Siria. L’articolo cita anche la detenzione nell’isola indonesiana di Sulawesi di quattro uiguri con legami con l’IS. A questo punto però – più che concentrarsi sulla provenienza di questo lone-actor – si può cogliere l’occasione per una disanima di tale genere di attacchi.
(prima parte dell’analisi; la seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni)