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Il diritto alla disconnessione in Italia c’è già!

Il diritto alla disconnessione in Francia è legge! E in Italia, si domandano i più?
Intanto una domanda mi sorge spontanea, come direbbe il buon Gigi Marzullo, rispetto ad una specificità della norma francese, ossia la sua applicabilità solo nelle aziende sopra i 50 dipendenti. Forse se sono 49 non vi è il rischio o la necessità di tutela? Il punto, tuttavia, è un altro. Perché di fronte ad una legge francese o altro paese ci si interroga subito su cosa succede in Italia? La domanda sorge solo se altri sollevano un “presunto” problema?

Il diritto alla “disconnessione” non è nuovo. Ovvero il diritto di fornire la propria prestazione esclusivamente all’interno dell’orario di lavoro concordato non mi pare possa considerarsi una novità! Se partiamo dal presupposto necessario che intendiamo “lavoro” il ricevere telefonate, e-mail e quant’altro, dobbiamo convenire che laddove fosse richiesta “fuori orario”, sarebbe anzitutto prestazione “straordinaria” e come tale non obbligatoria.

Diversamente opinando dovremmo porre in discussione la definizione stessa di “prestazione” lavorativa. Pertanto il divieto di richiedere unilateralmente ed obbligatoriamente tale prestazione non è a mio modo di vedere una novità. Se poi tutto questo clamore s’intende riferito invece ad un moto più sociologico volto a far meditare sugli effetti nefasti della trasformazione digitale del lavoro, allora sono d’accordo. Sono d’accordo perché non si parla più di “diritto del lavoro” bensì di educazione e cultura. E la prova di tale mio pensiero è che – anche i francesi – demandano la regolamentazione di tale situazione alle “parti sociali”, le stesse che o sono già intervenute pur in assenza di una previsione normativa, oppure non hanno sentito l’esigenza di disciplinare anche questo elemento “contrattuale”.

Sinceramente credo che questo modo di procedere elaborando testi normativi e procedure su ogni “fatto” e “comportamento” altro non faccia che denotare ed affermare l’assenza di principi generali di educazione e l’assenza di crescita culturale che dovrebbero seguire e addirittura precedere qualsiasi avanzamento tecnologico. E la risposta del legislatore è sbagliata poiché agisce solo sull’effetto e non sulla causa: non c’è educazione e cultura che viene insegnata, ma solo un presunto “diritto” che viene riconosciuto e ciò spesso a coloro che sono proprio i primi utilizzatori “maleducati” dello strumento sia sul lavoro che nella vita privata.

Oltre al dibattito sulla “disconnessione” fuori orario si dovrebbe prevedere “l’obbligo” di disconnessione nel corso del rapporto da tutto ciò che non è “lavoro”; non vedo perché l’equilibrio tra “vita privata” e “lavoro” dovrebbe essere sempre letto in un’unica direzione. Per concludere in ordine alle domande “perché in Italia no? ” rispondo semplicemente che sarebbe una mera ripetizione di diritti / obblighi già ampiamente disciplinati nel nostro ordinamento; e poi provate a contestare disciplinarmente la mancata risposta ad un’e-mail delle h. 22:00!

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