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Alitalia, ecco perdite private e salvataggi di Stato

Cattaneo, montezemolo, ntv

Ha perso la bandiera ormai da tempo e continua a perdere pure passeggeri e soldi. Anche pubblici. Alitalia è alle prese con il nuovo piano industriale che rilanci la compagnia ma la strada sembra in salita e sul ciglio potrebbero contarsi parecchi esuberi: ufficialmente 1.640 ma si parla di una cifra vicina ai 4.000. In uno studio presentato per l’Istituto Bruno Leoni Andrea Giuricin, esperto di economia e trasporti e docente all’università di Milano Bicocca, presenta una serie di dati che collegati insieme danno un quadro esasperante: da fine anni Novanta ad oggi il mercato aereo italiano è cresciuto costantemente, la quota di Alitalia è diminuita e i bilanci dal 2009 – dopo l’arrivo dei cosiddetti “capitani coraggiosi” con l’operazione Fenice – sono sempre stati in rosso. Non parliamo poi dello Stato, che dal 2008 ai nostri giorni ci ha rimesso oltre 6,1 miliardi di euro.

MERCATO AEREO ITALIANO

Nel 1997 i voli per abitanti nel nostro Paese erano pari a 0,90, ben al di sotto della media irlandese (2,81) o di quelle olandesi (1,94) e britanniche (1,87) ma lontana anche da quella spagnola (1,37). Nello stesso anno il mercato aereo italiano era formato da 53 milioni di persone, cifra che è salita a 108 milioni nel 2007 a 116 milioni nel 2013 e a 133 milioni nel 2016. Non è però andata di pari passo la quota in mano alla ex compagnia di bandiera che nel giro di otto anni ha perso cinque punti percentuali passando dal 23 per cento del 2007 al 18 per cento del 2015. Al contrario, le compagnie low cost hanno visto aumentare la propria quota di mercato nello Stivale: Ryanair l’ha quasi raddoppiata, dal 12 al 23 per cento, Easyjet è andata oltre, dal 5 al 12 per cento. A livello di valore, Alitalia nel 2015 ha registrato il 41,8 per cento della quota di mercato, Ryanair il 65,4 per cento ed Easyjet solo il 9,2 per cento.

PASSEGGERI

A parlar chiaro sono pure le cifre dei passeggeri trasportati dalle principali compagnie aeree europee. Alitalia – emerge dallo studio di Giuricin – ne ha persi per strada parecchi visto che è scesa da 30 milioni nel 2005 a 23 milioni nel 2015 a differenza di Ryanair, da 33,4 milioni a 101,4 milioni, ormai primo vettore italiano, di Easyjet da 30,3 milioni a 69,8 milioni e addirittura di Lufthansa da 51,3 milioni a 107,7 milioni. Peraltro, una delle pecche del gruppo presieduto da Luca Cordero di Montezemolo (nella foto), è che la maggior parte delle tratte operate dal vettore sono domestiche: 11,9 dei 23 milioni di passeggeri trasportati nel 2015 hanno volato in Italia contro 7,9 milioni su tratte internazionali e 2,3 su quelle intercontinentali. Per questo nel piano industriale uno degli obiettivi è quello di aumentare le destinazioni intercontinentali, al momento circa venti. Gli aerei che volano su lungo raggio sono 27.

COSTO INDUSTRIALE PER PASSEGGERO

Un altro problema, cui il piano che sta elaborando l’amministratore delegato Cramer Ball vorrebbe tentare di offrire una soluzione, è quello del costo per passeggero, il cosiddetto cask. Alitalia ha un costo di 6,5 euro per ogni 100 chilometri per posto offerto. Giusto per fare qualche esempio, a Ryanair si scende a 3,34 euro mentre ad Easyjet non ci si discosta molto dall’ex compagnia di bandiera, 6 euro. Peggio ancora fa Lufthansa, 8,3 euro, e pure la sua low cost Germanwings, 8 euro. Per non parlare di Air France-Klm, 10,5 euro.

TASSO DI RIEMPIMENTO AEROMOBILI

A gravare sui ricavi del vettore italiano un’altra questione, ovvero il fatto che gli aerei non viaggiano pieni. Ogni 100 posti disponibili sugli aeromobili, Alitalia vende in media 76,2 biglietti, performance peggiore rispetto a quelle di tutti i principali competitor: Ryanair 93, Easyjet 92, AF-Klm 85, Lufthansa 80.

PERDITE

Si arriva così al doloroso capitolo delle perdite, come si rileva dalla ricerca di Giuricin per l’Istituto Bruno Leoni. Dall’operazione Fenice (2009) all’arrivo di Etihad, che possiede il 49 per cento del capitale (2014), le cose non sono tanto cambiate. Il gruppo ha perso 327 milioni nel 2009, 168 milioni nel 2010, 69 milioni nel 2011, 280 milioni nel 2012, 568 milioni nel 2013, 580 milioni nel 2014, 408 milioni nel 2015, 400 milioni nel 2016. Per un totale di 2,8 miliardi. A questi si devono aggiungere i soldi forniti dallo Stato che arrivano a superare i 6,1 miliardi sommando i 3 miliardi dati per evitare il fallimento nel 2008 e aprire la strada ai “capitani coraggiosi”, i 75 milioni di investimento di Poste italiane, controllata dal Tesoro, i quasi 1,5 miliardi di cassa integrazione straordinaria per i dipendenti, i 200 milioni di aumento dei prezzi e gli 1,4 miliardi di minori entrate fiscali.

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