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Come si prepara l’Opus Dei all’elezione del successore di Echevarría

Fernando Ocáriz

A confronto di altri movimenti, l’Opus Dei non spicca per espansione numerica. Difatti l’Obra non è un movimento, e non sono i numeri che contano. Sono gli uomini in posti chiave, dentro e fuori la Chiesa, che ne fanno una delle organizzazioni cattoliche considerate più influenti. L’Opus Dei a gennaio celebrerà l’elezione del nuovo prelato, successore di monsignor Javier Echevarría Rodríguez, morto il 12 dicembre (in foto accanto all’ausiliare Fernando Ocáriz).

IL CONCLAVE DELL’OBRA

Monsignor Fernando Ocáriz, vicario ausiliare della prelatura, ha convocato il Congresso elettorale in cui verrà eletto il prossimo prelato a partire dal 23 gennaio. Sono circa 150 i “grandi elettori” che dovranno indicare il successore di Echevarría. Sono sacerdoti e laici, uomini e donne di almeno 32 anni di età e che fanno parte della prelatura da un minimo di nove anni. L’elezione del prelato dovrà poi essere confermata dal Papa. Secondo gli statuti, il prelato dovrà necessariamente essere un sacerdote che abbia almeno quarant’anni di età, che sia membro del Congresso e che almeno da dieci anni faccia parte della prelatura e almeno da cinque sia sacerdote. Gli statuti descrivono le qualità del prelato, che coincidono grosso modo con quelle che il diritto canonico richiede per la candidatura all’episcopato.

CAMBIO GENERAZIONALE: LA SFIDA

Intervistato da Avvenire, don Matteo Fabbri, vicario apostolico per l’Italia, ha rilevato come l’Opus Dei stia entrando “in una fase di piena maturità: Echevarría aveva conosciuto personalmente il fondatore e lavorato al suo fianco per molti anni. Ora… tocca a noi”. Monsignor Echevarría ha guidato l’opera per ventidue anni, dal 1994 al 2016. È stato, insieme a monsignor Alvaro del Portillo, uno dei più stretti collaboratori del fondatore, Josemaría Escrivá de Balaguer, e suo segretario. Durante la sua prelatura ha assistito alla canonizzazione di Josemaría e alla beatificazione del primo successore di Balaguer, monsignor del Portillo. Con la morte del vescovo Echevarría, l’Opus Dei affronta quindi un passaggio generazionale cruciale: il nuovo prelato non sarà più una persona che ha lavorato in modo così diretto con il fondatore. Esplicito il vicario ausiliare dell’Opus Dei, Ocáriz: “Le attuali circostanze sono una chiamata alla responsabilità, perché ciascuno di noi dovrà stare più attento a incarnare il legato di san Josemaría nel mondo attuale, fra la gente di oggi”.

CHI SARÀ IL NUOVO PRELATO?

Nelle due elezioni precedenti è stato scelto come prelato il numero due dell’opera: nel 1975 il beato Álvaro del Portillo, che per anni era stato il principale collaboratore del fondatore. Alla morte di Del Portillo, è stato scelto Echevarría, che fino allora era stato vicario generale. Stando alla tradizione, quindi, il nuovo prelato potrebbe essere lo stesso Ocáriz, dal 2014 primo vicario ausiliare nella storia dell’Opus Dei. Un altro nome da tenere in considerazione è quello del vicario generale, Mariano Fazio, di Buenos Aires come Papa Francesco, che conosce personalmente.

NÉ MOVIMENTO NÉ ORGANIZZAZIONE

Ad oggi, l’Opus Dei rimane l’unica prelatura personale nella Chiesa cattolica: una sorta di diocesi internazionale che gode di una propria autonomia. Uno status introdotto dal Concilio Vaticano II e concesso all’Obra da Giovanni Paolo II nel 1982. Una prelatura relativamente ridotta, ma in crescita: nel 2015 i membri dell’Opus erano circa 94.000 (erano 80mila nel 2000) in tutti i continenti, tra cui oltre 91.000 laici e più di 2.000 sacerdoti. Tra i suoi membri, l’ex portavoce di papa Wojtyla, Joaquín Navarro Valls, e l’attuale direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke.

OPERA DISCUSSA

Fondata nel 1928 da san Josemaría Escrivá, l’Opus Dei è vista da molti osservatori come una forza conservatrice. Una realtà quasi sempre letta secondo categorie politiche, sociali ed economiche. Forse perché l’Opera ha la pretesa di coltivare una spiritualità per laici e di santificare il lavoro quotidiano. Ciclicamente attaccata come una sorta di massoneria cattolica e criticata per la presunta ricchezza, gli atteggiamenti nei confronti delle donne e la pratica di mortificazione corporale. Una narrazione nera diffusa da Dan Brown nel Codice da Vinci nel 2003. È poi di alcuni giorni fa la pubblicazione da parte di Dagospia della testimonianza negativa di un ex membro dell’Opera, ripresa anche da alcuni quotidiani. Una “novità”, però, di due anni fa.

PANZER E INTEGRISTI, ANZI NO

I detrattori più raffinati dell’Obra citano spesso il giudizio di uno dei più grandi teologi del Novecento, Hans Urs von Balthasar, che nel ’63 definì l’Opus Dei “una concentrazione integrista di potere nella Chiesa”. E se quello di Dan Brown è un romanzo (le cui tesi sono state più volte smontate), il commento del teologo svizzero non è esattamente così tranchant. Non si trattava, spiegò in seguito von Balthasar, di un giudizio sull’insieme dell’opera di Escrivà de Balaguer, ma di una critica ad alcuni punti del suo libro di meditazione Cammino: molte delle accuse all’Opus Dei – scrisse – sono semplicemente false e anticlericali.
Ha detto una volta il fondatore di un movimento a sua volta considerato “integrista”, don Luigi Giussani, a Vittorio Messori, che l’ha scritto nel suo Opus Dei. Un’indagine: “Noi di Cl siamo i ballila, gli irregolari che tirano pietre. Ma loro, quelli dell’Opera, hanno i Panzer: vanno avanti ben corazzati, con i cingoli anche se li hanno rivestiti di gomma. Il rumore non si sente, ma ci sono, eccome. E ce ne renderemo conto sempre di più”. “Prego Dio che, al di là delle battute – commentò Echevarría – il peso dei cristiani si avverta sempre di più in tutti gli ambienti degli uomini”.

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