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Minniti, l’Islam e il Patto della pecorella smarrita

YAHYA PALLAVICINI COMUNITA ISLAMICA

“Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Vangelo di Luca, 15, 3-7).

Il ministro Minniti ha proposto e realizzato uno storico e importante Patto con l’Islam italiano coinvolgendo tutte le rappresentanze presenti alla Consulta per l’Islam italiano e sottoscrivendo insieme a loro un accordo di responsabilità e sviluppo.

I fondamenti o i 10 comandamenti del decalogo speculare che sancisce il reciproco impegno tra il ministro dell’Interno e le varie associazioni islamiche d’Italia riguardano la prevenzione del radicalismo, la formazione delle guide religiose e i sermoni in italiano, la promozione di attività culturali e di dialogo interreligioso, la gestione dei luoghi di culto, la trasparenza nei finanziamenti, il riconoscimento degli enti morali di culto per la raggiungimento di Intese secondo la Costituzione italiana.

Mi sono chiesto insieme a molti membri della Coreis Comunità religiosa islamica italiana ma perché la comunità dei musulmani in Italia dovrebbe essere contenta di questo documento? E noi, cittadini italiani religiosi musulmani con un orientamento contemplativo ed ecumenico che facciamo già tutto quanto è previsto dal Patto da decenni a livello nazionale e internazionale di cosa dobbiamo essere contenti?

Abbiamo avuto un timore: con questo Patto non si vorrà trasformare la rappresentanza islamica religiosa e interculturale in una rappresentanza italiana dell’integrazione e dell’antiradicalismo che abbia la responsabilità di amministrare e moderare chi strumentalizza il nazionalismo o la religione per abusi di potere piuttosto che pregare Dio e vivere con dignità l’eredità della profezia in armonia con la Costituzione Italiana?

Ma come, a noi ce lo chiedete di firmare, quando siamo tra le vittime del complotto dei corruttori della sapienza e della dottrina tradizionale islamica dei maestri? A noi che siamo italiani da generazioni, solo perché siamo musulmani o perché ci sono altri fanatici estremisti che si spacciano per califfi?

Già forse siamo quella “pecorella smarrita” o quel “peccatore convertito” oppure meglio quelle “pecore di un altro ovile” tratto dalla parabola di Gesù che il ministro Minniti ha così saggiamente citato nella sua conferenza stampa di presentazione del Patto con l’Islam italiano al Viminale. Abbiamo forse avuto una “fobia” prima di comprendere che, alla luce delle perverse dinamiche di infiltrazione fondamentalista nell’apologia confessionale, è pur necessario per tutti i credenti e, tra questi, anche per tutti i musulmani garantire quella coesione e quella sicurezza senza la quale non ci sono le condizioni di base per discernere tra bene e male, giusti e ingiusti, convertiti e corruttori.

Non ci può essere “più gioia in cielo” se non dimostriamo insieme, ognuno seguendo la propria sensibilità e capacità e in tutti i modi efficaci possibili, di essere responsabili per il Bene comune dell’armonioso sviluppo della società italiana nel pluralismo dei credenti virtuosi e dei cittadini onesti. Di questo ci dobbiamo rallegrare e confidare che da questo Patto si arrivi al riconoscimento e alle intese con l’Islam italiano.

 

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