Una comunicazione trasparente, corretta, coerente, sincera è il miglior antidoto nei confronti di qualunque ‘perturbazione’ possibile (fenomeno Nimby, esposti, inchieste, ecc…). Le aziende/enti che svolgono le loro attività in modo poco trasparente spesso rischiano di attrarre l’attenzione dei media, degli inquirenti o di qualche comitato per il semplice sospetto che possano compiere attività opache (si veda, a titolo di esempio, l’attenzione dei media pugliesi in materiale ambientale dopo il caso Ilva).
Se non si ha nulla da nascondere, perché non attivare nei confronti dell’opinione pubblica e delle istituzioni un rapporto franco e leale? Sgomberare il campo da teoremi, complottismi, macchinazioni investendo in procedure e comunicazione trasparenti riduce il rischio di perdere poi tempo e denaro per chiarire posizioni che sono realmente cristalline.
La tendenza italiana, invece, è a mettere la polvere sotto il tappeto anche quando la polvere non c’è o è talmente poca che farsi sorprendere nell’atto di nasconderla è molto peggio che mostrarla, asserendo con chiarezza: ecco, è rimasto un poco di polvere ma mi sto attrezzando per pulirla.
In Italia si fa un gran parlare di interventismo della magistratura, di esorbitanza dell’ordine giudiziario, di sconfinamento e strapotere di pubblici e ministeri e giudici nell’attività economica. È vero però che i magistrati hanno il compito di far rispettare la legge e di rispondere a un principio che, per quanto contestato ormai da decenni, è iscritto nella nostra carta costituzionale: l’obbligatorietà dell’azione penale. Significa che laddove si ravveda un possibile reato, è compito del magistrato approfondire e accertare se questo reato sia stato effettivamente compiuto e da chi.
Ora, è evidente che – come dimostra tutta la proiezione massmediatica del fenomeno giudiziario – a determinare una maggiore o minore attenzione su un caso concorre in modo non trascurabile anche la sua percezione di gravità da parte dell’opinione pubblica.
Una vicenda che sia costantemente sotto i riflettori di comitati, social network, media, opinione pubblica è inevitabilmente più visibile anche agli inquirenti. È dunque essenziale operare con una comunicazione, si tratti di un ente pubblico o di un’azienda, che sia capace di contemperare i due fori fondamentali: da un lato sufficientemente semplice e comprensibile per il pubblico più vasto possibile, dall’altro precisa, puntuale, autentica, per offrire anche agli interlocutori istituzionali le risposte necessarie, precise, certe, tali da non rendere necessari ulteriori approfondimenti, proprio perché trasparenti e fortificate da dati inoppugnabili.
Un siffatto genere di comunicazione previene la crisi ed è anche un buon antidoto all’apertura di eventuali procedimenti di natura amministrativa o giudiziaria, sempre che, naturalmente, si operi nel pieno rispetto della legge.
Per porre in essere una strategia comunicativa così descritta occorre che collaborino i professionisti del diritto e quelli delle relazioni pubbliche e della comunicazione, gli esperti in litigation public relation. L’attività, che va sotto il nome di litigation public relation (PR), identifica la gestione a livello professionale delle attività di comunicazione sviluppate ed esercitate dalle parti coinvolte in una controversia legale.
Di un esperto in litigation pr e più in particolare in litigation communication in Italia – anche a causa di una vera e propria deviazione del processo mediatico giudiziario – c’è sempre più bisogno. È almeno dal caso Tortora che assistiamo a una lunga serie di processi mediatici, basti pensare a quanta acqua è passata sotto i ponti dai processi televisivi di Tangentopoli a quello sull’omicidio di Meredith Kercher.
Se tuttavia nel mondo anglosassone e in Germania è pacificamente accettata l’idea di un professionista della comunicazione che affianchi l’avvocato nella difesa di un indagato o imputato, in Italia siamo ancora agli albori di questa pratica, con la lodevole eccezione della Suprema Corte di Cassazione che ha riconosciuto il valore di una difesa anche al di fuori del processo con la sentenza 6827/2014.
Il prossimo futuro dimostrerà come un professionista della comunicazione, dotato delle necessarie competenze giuridica e giornalistica, sarà la figura fondamentale non soltanto per riequilibrare il rapporto tra accusa e difesa di fronte all’opinione pubblica e dunque anche alla magistratura, ma eserciterà anche un ruolo essenziale come attore del processo anticorruttivo, contribuendo in modo determinante a cancellare qualsivoglia opacità nell’attività del pubblico come del privato.