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Perché l’intesa Trump-Netanyahu su Israele e Palestina non è sovversiva

Nel commentare l’incontro di ieri alla Casa Bianca tra Trump e il premier israeliano Netanyahu, la stampa mondiale parla di una presunta “svolta” americana. Gli Stati Uniti, si sostiene, hanno voltato le spalle alla posizione storica del Paese circa il processo di pace tra israeliani e palestinesi: Trump avrebbe affossato la soluzione dei “due Stati per due popoli”, così caldamente perseguita dai suoi predecessori e giudicata l’unica via da parte della comunità internazionale.

Questa lettura si basa tuttavia su una visione distorta della posizione dell’amministrazione Trump e, soprattutto, prescinde del tutto da quanto hanno affermato lo stesso tycoon e Netanyahu in conferenza stampa. I due leader non hanno solo ribadito la stretta alleanza tra i rispettivi Paesi. Hanno anche delineato il percorso verso una possibile risoluzione del conflitto più spinoso e duraturo al mondo.

La parola chiave è “deal”, che Trump ha scandito più volte accanto al soddisfatto Bibi. La soluzione perorata da Trump punta su un coinvolgimento dei principali Paesi della regione che, come ha sottolineato Netanyahu, sempre più vedono in Israele un alleato piuttosto che un nemico. È per questo che Netanyahu ha affermato che vede molto prossima la luce in fondo al tunnel.

Quanto alla formula concreta con cui dovrebbe realizzarsi la pace, Trump ha detto chiaramente che spetta alle parti interessate deciderla, sia essa nel solco degli accordi di Oslo – due Stati, per l’appunto – ovvero un singolo Stato in versione confederale con pieni diritti e magari la cittadinanza israeliana per i palestinesi.

I prerequisiti perché si giunga ad un accordo sono tre e sono stati ribaditi in modo stentoreo da Netanyahu: riconoscimento dello Stato di Israele, fine della campagna di odio antiebraico fomentata sin nelle scuole dai palestinesi, e mantenimento del controllo militare sulla Cisgiordania da parte israeliana. Senza queste condizioni, infatti, il sorgere di uno Stato palestinese equivarrebbe all’avvento di un nuovo Iran dedito al perseguimento della distruzione di Israele.

Il consenso Trump-Netanyahu è dunque tutt’altro che rivoluzionario e sovversivo. Il loro è un approccio ragionevole che poggia su una lettura corretta dell’attuale stallo del processo di pace. Fino a che i palestinesi non accetteranno la convivenza pacifica con gli ebrei di Israele, nessuna pace può essere all’orizzonte. La stampa farebbe bene ad accorgersi che alla Casa Bianca c’è un leader pragmatico e realista. Che non vuole inimicarsi il resto del mondo con politiche prevaricatrici, anzi.

L’approccio di Trump ai problemi globali, incluso quelli del Medio Oriente, si basa proprio sul concetto chiave rinserrato nella mente di Trump: deal. Un accordo che, come ha detto Trump, comporterà dei “compromessi” da parte di tutti gli attori, Israele incluso. Che sia la volta buona?


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