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Tutte le altalenanti tensioni fra Papa Francesco e il cardinal Burke

Raymond Leo Burke

La narrazione più diffusa racconta di un tramonto romano del cardinale Raymond Leo Burke cominciato subito dopo l’elezione di Bergoglio. Il capitolo della tormentata saga maltese è solo l’ultimo atto. Ma non è detto che scenda il sipario sul porporato americano, il più esposto dei critici a questo pontificato. Anche perché potrebbe non convenire a Francesco. Che di Burke evidentemente si fida: il 15 febbraio il porporato americano è volato a Guam per presiedere il tribunale di prima istanza che dovrà investigare su un caso intricato di pedofilia che vede coinvolto l’arcivescovo dell’isola del Pacifico. La formazione della corte – che comprende altri quattro vescovi – è del 5 ottobre scorso (dopo i dubia e prima della crisi all’Ordine di Malta) e fa direttamente riferimento alla Congregazione per la dottrina della fede, competente per i casi di pedofilia nel clero. Molti osservatori hanno letto la decisione del Papa come esilio inflitto ad uno dei più franchi oppositori al pontificato. Ma Burke rimarrà a Guam solo il tempo necessario per raccogliere le testimonianze sul caso. Già a fine mese è atteso negli Usa per una conferenza. Quindi dovrebbe rientrare a Roma.

QUELLA SIMPATIA PER TRUMP E SALVINI

In certi ambienti, Burke non è favorito per la sua simpatia verso Donald Trump: “Non sarà un presidente ispirato dall’odio”, dichiarava al Giornale in novembre. Poi ha ricevuto in casa sua a Roma il leghista e trumpiano doc, Matteo Salvini. Il New York Times ha pubblicato il 7 febbraio un articolo facendo intendere un patto atlantico tra il porporato e il falco di The Donald, Steven Bannon. Scopo della “cospirazione”? Mettere i bastoni tra le ruote alle riforme di Francesco. Singolare: un divorziato dalla vita famigliare complicata (Bannon) che si accorda con un cardinale difensore appassionato dell’indissolubilità del matrimonio.

IL WASHINGTON POST NE CHIEDE LE DIMISSIONI

Dopo il New York Times, il 9 febbraio è sceso in campo il Washington Post con un pezzo che rilancia già dal titolo: “Come Francesco può purificare il marciume di estrema destra nella Chiesa”. “Servono misure più severe” contro il cardinal Burke, invoca Emma-Kate Symons: “Non solo sta minando le riforme di Francesco, ma è il principe ribelle della Chiesa che sta usando la sua posizione per legittimare le forze estremiste che vogliono mettere in crisi la democrazia liberale occidentale”.

IL CREPUSCOLO DI LEO

“Il destino del cardinal Burke? Chiedetelo al Papa”. Fresco di reintegrazione tra i cavalieri di Malta, il Gran cancelliere Albrecht von Boeselager rispondeva così ai giornalisti: “Non posso prevedere quale sarà il suo ruolo in futuro”. Il riferimento è all’arrivo del delegato pontificio presso l’Ordine. Un delegato voluto da Francesco che di fatto assume il ruolo del cardinale patrono – anche se in carica è ancora Burke – fino all’elezione del nuovo Gran maestro, prevista per fine aprile.

ASTRO DECLINANTE

Nel borsino vaticano l’influenza Burke era già precipitata nel dicembre 2013, quando, con un tratto di penna, Francesco lo rimuove dalla Congregazione dei vescovi. Fine di un’era. Burke si muoveva alla Congregazione promuovendo nomine episcopali di stampo ratzingeriano. “Nomine che sono un disastro… Non più in linea con questo pontificato”, tuonava già allora il liberal Michael Sean Winters sul National Catholic Register.

VIA LA TOGA AL GIUDICE SUPREMO

Dal 2008 al 2014 Burke è prefetto del Tribunale della segnatura apostolica. La corte suprema vaticana. Un ruolo prestigioso al quale lo aveva chiamato Benedetto XVI e che gli dava una forte influenza sull’interpretazione e l’applicazione del diritto canonico. A novembre 2014, subito dopo la chiusura del primo sinodo sulla famiglia, viene spedito a fare da patrono all’Ordine di Malta. Una retrocessione in serie B per il dotto canonista, in un mero ruolo di rappresentanza, esterno al governo della Curia. Sa di umiliazione: Burke allora ha 66 anni. È nel pieno dell’età lavorativa per un cardinale.

BERGOGLIO: NON L’HO PUNITO

In una intervista a Elisabetta Piqué, uscita su La Nación a dicembre di quell’anno, il Papa nega che la rimozione del cardinale sia stata una punizione. In effetti il mandato di Burke alla Segnatura era scaduto, e Francesco lo tiene prefetto qualche mese in più, perché, come spiega lui stesso, “volevo che partecipasse al Sinodo da capo dicastero”. In vista di una ristrutturazione degli organismi giuridici della Chiesa, e visto che si era liberato il posto all’Ordine di Malta, Bergoglio lo destina lì: “Mancava un americano vivace, che si potesse muovere in quell’ambito, e mi è venuto in mente. L’ho proposto a lui molto prima del Sinodo”. E aggiungeva: “È un uomo che si muove molto, che viaggia e lì avrà lavoro. Dunque non è vero che l’ho sostituito per come si è comportato al Sinodo”. Questo al primo Sinodo. A quello ordinario del 2015 che ha creato l’esortazione papale Amoris laetitia, Burke non siede più tra i padri sinodali.

“ALTRO CHE BAVAGLIO”

Di quelle settimane in cui in molti si affannavano a scrivere di purghe bergogliane – commenterà il blogger Dwight Longenecker – si poteva anche leggere la vicenda in altri termini: “Mettere a tacere Burke? Il suo nuovo compito come patrono dell’Ordine di Malta virtualmente non gli dà responsabilità, dandogli invece una base a Roma e il tempo per viaggiare, pronunciare interventi, scrivere ed esprimere il proprio punto di vista. Piuttosto che metterlo a tacere, può essere che Papa Francesco gli stia dando voce, incoraggiando l’opposizione leale”.

CORREGGERE IL PONTEFICE

E Burke parla spesso pubblicamente. La sua opposizione a Bergoglio inizia subito. Primi petardi nell’estate 2013, a pochi mesi dall’elezione di Francesco. A dicembre, al network americano Ewtn, derubrica il manifesto del pontificato di Francesco, Evangelii gaudium: “Non è un documento magisteriale”. Poi arrivano i due sinodi sulla famiglia, 2014 e 2015. Ed è un crescendo. È sempre presente in prima linea tra i cardinali critici alle posizioni aperturiste. E via via, fino ai dubia ad Amoris laetitia e la promessa di una correzione formale del pontefice.

RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE

Tra le numerose prese di posizione del porporato, a febbraio 2015 fece scalpore l’intervista concessa a France 2, nella quale dichiarava di voler resistere al Papa nel caso avesse aperto alla comunione ai divorziati risposati. Pochi giorni dopo il cardinale di Washington, Donald Wuerl, senza citarlo, ricordò sul suo blog personale che se il dissenso nella Chiesa c’è sempre stato, ci fu anche un cardinale, Louis Billot, molto poco discreto nella sua opposizione verso Pio XI, che alla fine fu convinto a rinunciare alla sua dignità cardinalizia. A commento dell’intervista alla tv francese, la rivista Golias invocò esattamente lo stesso provvedimento: de-cardinalizzare Burke o, almeno, fosse destinato a un lungo periodo di penitenza da scontare in monastero. Più recentemente è stato il decano della Rota Romana, Pio Vito Pinto, a ricordare che il Papa potrebbe togliere la berretta ai cardinali dissidenti. Della questione, l’eminenza non si cura: “Non ci penso, perché so quello che è il mio dovere”, ha dichiarato a The Remnant. E sulla narrazione del cardinale che fa dell’opposizione al Papa la sua ragione di vita taglia corto: “È una distorsione dei giornali”.

DAL WISCONSIN PAPALE PAPALE

Il fatto è che questo figlio dell’America rurale, descritto come mite e gentile, parla schietto. Lo faceva anche ai tempi di Benedetto XVI. Lo sappiamo dai documenti trapelati col primo vatileaks, quando uscì una lettera di Burke al cardinale Tarcisio Bertone molto dura, nella quale contestava l’imminente via libera alla liturgia neocatecumenale. Certo: non era un attacco al Papa e non doveva uscire dalle mura leonine. Però era un rilievo che Ratzinger prese molto sul serio, definendo quelle osservazioni “giuste”.

FRANCESCO E I DISSIDENTI

Francesco ha parlato spesso delle critiche ricevute. In una intervista ad Avvenire spiega: “Quando non c’è un cattivo spirito, aiutano anche a camminare”. Non usa però mezzi termini per stroncare quelle che, a dicembre, alla Curia romana, ha definito “resistenze malevole”. Ma Francesco non è tenero neppure con gli adulatori. A Tv2000 ha ammesso di preferire i detrattori ai “viscidi lecca-calze”.

EPILOGO IN VISTA?

Commentando la decisione di Francesco di nominare un suo delegato all’Ordine di Malta, qualche giorno fa il vaticanista Sandro Magister scriveva: di fatto il Papa ha fatto cadere la testa del cardinale patrono. Già: rimane in carica, e provvisoriamente senza lavoro. Ma adesso al Papa conviene ingaggiare una guerra aperta contro Burke? Le perplessità su Amoris laetitia e soprattutto sulle sue interpretazioni più liberal sono diffuse. Ogni giorno esplode un nuovo fronte (es: qui). Il Papa non frena le posizioni più aperturiste, anzi: sembra appoggiarle. E allora perché non sbarazzarsi definitivamente del più loquace dei suoi critici? Una cacciata di Burke, analizza Andrea Tornielli della Stampa, è probabilmente auspicata da certi suoi sostenitori che così potrebbero individuare un martire politico del pontificato. Un martire che Francesco ha tutto l’interesse a non creare. Lo ha umiliato nella vicenda dell’Ordine di Malta? Probabile. Non ne condivide lo stile liturgico e l’insistenza sulle questioni dottrinali? Certo. Ma se a Bergoglio alla fine dei conti un cardinale americano conservatore potesse tornare utile per districarsi nell’ingarbugliato rapporto con il nuovo presidente Usa?

AGENDA FITTA

Burke è in viaggio negli Stati Uniti. Tra l’altro, ha inaugurato attrezzature mediche donate dai Cavalieri di Malta a una clinica del Kansas. Piace ai fedeli. A maggio Trump sarà in Italia per il G7 di Taormina. Incontrerà il Papa? Possibile. Nel frattempo dovrebbe nominare il nuovo ambasciatore Usa presso la Santa Sede. Non è una condizione necessaria, ma sarebbe un segnale di distensione verso un pontefice che lo ha scomunicato, dandogli del “non cristiano” per la questione del muro col Messico. I presidenti repubblicani sono stati sempre più rapidi dei democratici nelle nomine diplomatiche. Dell’intervista di gennaio con El Paìs, ha fatto rumore l’analisi di Bergoglio sul populismo come brodo di coltura del nazismo. È parso un riferimento a The Donald. Ma specificamente su Trump ha aggiunto parole di realismo: “Spaventarsi o gioire per ciò che potrebbe succedere credo che significherebbe cadere in una grande imprudenza. Si vedrà. Vedremo che fa e allora si valuterà”. Appunto: realismo. Forse quello che manca nelle interessate cospirazioni ricamate nelle ultime settimane dall’uno e dall’altro fronte della Chiesa sul ruolo del cardinal Burke.

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