Le vicende dell’economia di Israele ricordano, per certi aspetti, la storia di Cenerentola. Uno Stato che, fra circa un anno e mezzo, celebrerà i settant’anni dalla sua fondazione, anni durante i quali la popolazione è cresciuta di quattordici volte; uno Stato che ha dovuto affrontare le sfide di un’immigrazione di vaste proporzioni, con complessi problemi di sicurezza; uno Stato con perenne carenza di risorse idrogeologiche e di forza-lavoro; un Paese che dipende da approvvigionamenti esterni per la produzione di energia e altri minerali. Che cosa è accaduto, tuttavia, a partire dai primi anni 80 fino a oggi, e in che direzione è diretto Israele? Il dato secco e semplice è che l’economia di Israele è raddoppiata di decennio in decennio dal 1980. L’esportazione israeliana è cresciuta da 6 a 100 miliardi di dollari nel corso di 35 anni e i ritmi di crescita, fino alla crisi mondiale del 2008, sono stati altissimi. In molti hanno indagato le ragioni di questa rapida evoluzione, e a quanto pare non vi è economista o sociologo che concordi con i propri colleghi sull’insieme delle cause. È tuttavia possibile elencare una serie di fatti su cui si registra un ampio consenso. L’assenza di risorse naturali in Israele, assieme all’eccellenza in campo accademico, ha creato un importante sprone per la creazione di un’industria basata sulla scienza. Queste condizioni sono state intuite e colte da due grandi multinazionali considerate pioniere nella scelta di Israele, come centro di sviluppo prima e come centro di produzione significativo poi: Motorola e Intel. Queste due compagnie hanno il grande merito di aver fatto sì che oggi, in Israele, operino oltre 320 multinazionali, alcune delle quali hanno anche aperto in loco propri centri di sviluppo e di produzione. Con la caduta del blocco sovietico, all’inizio degli anni 90, Israele è stato investito da un’enorme ondata migratoria. Oltre un milione di migranti hanno lasciato i Paesi dell’ex Unione Sovietica per raggiungere il giovane Stato ebraico. Queste persone sono arrivate in Israele con una forte e decisa volontà di imprimere un cambiamento positivo al loro tenore di vita, gran parte delle quali provviste di istruzione accademica, con punte di eccellenza scientifica in molti casi. Ancora oggi, la seconda generazione di immigrati provenienti dai Paesi ex sovietici ricopre un ruolo centrale nell’industria tecnologica israeliana.
Le sfide per Israele nell’ambito della sicurezza sono numerose e complesse. Il Paese deve agire con continuità per mantenere il proprio vantaggio tecnologico nella nostra difficile regione. Oggi che la minaccia immediata viene dal terrorismo, la sfida tecnologica si trasforma, ma non per questo diviene meno complessa. La trasformazione d’Israele in una cyber-potenza deriva, fra l’altro, dal fatto che Israele è attaccato migliaia di volte al giorno. La tutela del nostro stile di vita non è una faccenda futile e banale: approvvigionamento idrico, elettricità, settore finanziario e governativo, tutte queste realtà devono necessariamente misurarsi con le conseguenze che ne derivano. Le soluzioni prodotte da tale sfida sono ovviamente molto rilevanti, non soltanto per Israele, ma per tutto il mondo libero. Oltre a queste ragioni ve ne sono altre, meno chiare e meno certe. La società israeliana, per suo carattere, si pone sempre interrogativi, non dà mai le cose per scontato e, ovviamente, punta all’eccellenza in svariati settori. Ma c’è un altro interrogativo che desidero sollevare: la tendenza di questi ultimi trent’anni continuerà? Quali sono le sfide immediate, e quali quelle a medio e lungo termine?
Le risposte a queste domande sono molto complesse e riguardano anche le relazioni fra Israele e Italia. L’economia israeliana non è sostenibile senza una cooperazione profonda con il mondo. Non esiste, in Israele, un mercato locale che spinga una crescita duratura; una crescita costante che duri per anni richiede obbligatoriamente da una parte un’apertura del mercato israeliano e dall’altra un approfondimento della cooperazione con il mondo. Israele e Italia hanno entrambi ambiti di cooperazione importanti e significativi: quella accademica, quella industriale nel settore spaziale, in quello automobilistico, in quello della homeland security e altri ancora. Tuttavia, se guardiamo alla profondità del potenziale a disposizione rispetto a quanto già si fa, c’è ancora un divario sostanzioso. I governi hanno un ruolo fondamentale nella creazione di un clima positivo e nell’incoraggiamento dell’imprenditoria, ma i fatti concreti sono poi compiuti dal settore privato nel momento in cui crede nel potenziale esistente. Quanto alla questione del futuro, in conclusione, sono certo che assisteremo ad alti e bassi nei prossimi anni, ma a medio termine il mercato israeliano dovrebbe continuare a crescere e a conseguire traguardi importanti. Quanto invece alle relazioni Israele-Italia, questo sta a noi. Se sono ottimista? Dopo alcuni mesi in Italia, la mia risposta è chiara: molto ottimista.
Ofer Sachs – Ambasciatore d’Israele in Italia
Articolo pubblicato sul numero di Formiche di Febbraio