“Ho ereditato un caos, in un mese ho già fatto tanto per sistemare le cose, ma voi della stampa non volete riconoscerlo”. Chi l’ha detto? Virginia Raggi risponderete voi miei pazienti lettori. Invece no, è stato Donald Trump. Nell’amministrazione mancano alcune figure chiave, una è caduta sotto i colpi della magistratura, il sostituto proposto ha rinunciato. A questo punto i candidati sembrano tutti dei rimpiazzi improvvisati. Dove sta succedendo? Al Campidoglio di Roma, direte voi. Invece no, in quello di Washington o meglio alla Casa Bianca. Il parallelismo sembra incongruo, non solo irriverente. Volete mettere il comune di Roma e la plancia di comando della prima potenza mondiale? Eppure l’impasto di incompetenza, arroganza e vanagloria mostra somiglianze impressionanti.
“Le cose non possono andare avanti così”, dice un anonimo funzionario dell’amministrazione a Philip Stephens del Financial Times. E allora cosa potrà accadere? Anzi, per meglio dire che cosa dovrà accadere perché le cose cambino (e chissà cambi persino il presidente eletto?).
Seguiamo la ricostruzione molto accurata del quotidiano londinese che non è trumpista, ma che almeno all’inizio non è stato pregiudizialmente contro. Il 27 gennaio il presidente firma un decreto che blocca l’ingresso negli Stati Uniti non solo a stranieri sospetti, ma persino a persone che hanno la carta verde, provenienti da alcuni paesi musulmani scelti non in base alla lista degli “stati canaglia”, bensì su preferenze o idiosincrasie: ad esempio se ci sono Iran, Siria, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Libia, perché non gli emirati del Golfo che sostengono l’Isis (per non parlare di quel che accade in Arabia Saudita)? I magistrati di ben 18 stati s’oppongono e giudicano il provvedimento incostituzionale, Trump accusa i giudici di essere “politicizzati” (le toghe rosse in versione a stelle e strisce), persino la Corte d’Appello di Washington considerata sempre l’arbitro indipendente per antonomasia.
Michael Flynn, indicato come consigliere della sicurezza nazionale viene colto con le mani nella marmellata russa e costretto a dimettersi. Il presidente accusa la stampa, se la prende con il New York Times e la Cnn, ma anche con il Wall Street Journal del suo “amico” Rupert Murdoch. Poi indica come sostituto il vice ammiraglio Robert Harward ex capo dell’anti-terrorismo nell’amministrazione di Bush figlio. Ma il militare che ora lavora alla Lockheed Martin, dice “no grazie”.
Trump cancella il trattato di libero scambio del Pacifico, minaccia di uscire dal Wto e da qualsiasi organismo commerciale di tipo multilaterale. Inoltre annuncia che i paesi asiatici dovranno difendersi da soli (dalla Cina s’intende), in teoria persino con la bomba atomica. Poi incontra il primo ministro giapponese Abe e gli promette eterno sostegno. E’ la più clamorosa (finora), ma non la prima marcia indietro. Ha già strapazzato diversi alleati, tra i quali l’Australia (troppo amica della Cina?), il Canada (troppo amico del Messico?), la Germania (troppo impegnata a tenere insieme una Europa che Trump vuole dividere?). Poi ha cercato di smussare qualche angolo, per la verità senza riuscirci. Sulla questione palestinese ha buttato a mare la linea dei due stati. Sia chiaro, può darsi che non porti più da nessuna parte, ma una svolta del genere si fa con una battuta e senza preparare l’alternativa? Ancora: vuole gettare a mare l’accordo sul nucleare con l’Iran, ma sulla Siria appoggia la Russia alleata di Assad sostenuto militarmente da Teheran.
Sul fronte interno, oltre ai magistrati e ai giornalisti non compiacenti, il conflitto più forte è con le agenzie di sicurezza. Ora ha messo suoi uomini alla Cia e all’antiterrorismo, resta fuori il Federal Bureau of Investigation. Ma in ogni caso fino a che punto potrà piegare i servizi alla propria volontà? Sono agenzie che rispondono al Congresso e non solo alla presidenza. Sembra che Trump voglia riformarle rendendole meno autonome e, secondo indiscrezioni della solita stampa, voglia affidare il compito a un finanziere suo amico Stephen Feinberg, fondatore del fondo Cerberus (nomen omen).
Contro il bullismo ci sono leggi nei paesi civili, ma contro un bullo alla Casa Bianca che cosa si può fare? Il sistema americano basato sull’equilibrio tra poteri indipendenti sembra insufficiente a tenere a bada il pluto-populismo che in nome dei vinti mette al comando i vincitori (finanzieri, uomini d’affari amici, generali da dottor Stranamore). C’è solo da sperare che rimanga vittima di se stesso e delle proprie contraddizioni. L’esempio principale riguarda la Russia. Le accuse contro Flynn di aver scambiato informazioni diplomatiche con esponenti russi (comportamento espressamente proibito fin dal 1799) assomigliano a quella che in termine militare si chiama “intelligenza con il nemico”. E il sospetto è calato anche su numerosi esponenti che hanno guidato la campagna elettorale. Vedremo che consistenza avranno queste accuse e quali conseguenze giuridiche.
Sul piano politico hanno l’effetto di un siluro al progetto del “grande accordo” a due con Putin. Trump dovrà muoversi con grande circospezione: se alle sue lodi per i comportamenti del presidente russo, anche quelli più provocatori, seguono gesti apertamente filo-russi, si apre un sentiero che porta dritto dritto verso l’impeachment. Non dimentichiamo che due pezzi grossi del partito repubblicano al Congresso, come McCain e Rubio stanno indagando sulle relazioni pericolose con Mosca.
Tutto ciò ha già messo in allarme Putin che si comporta anche lui da bullo, ma è astuto, intelligente e politicamente accorto. Il Cremlino è irritato dalla naivité del presidente americano il quale non capisce che se vuole fare davvero un accordo a due, deve prepararlo bene, in silenzio, senza tweettare, soprattutto senza lanciarsi in sperticate lodi del nuovo zar. Il problema è che Trump non conosce la storia né la geografia, cioè le discipline che trasformano gli impulsi, le preferenze, le ideologie persino, in scelte politiche. Gli uomini nuovi possono essere rinfrescanti, persino rigeneranti, ma l’anti-politica è il sonno della ragione e genera sempre mostri.