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Ecco come Erdogan fa cose turche con l’Europa

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A voler essere molto precisi, in realtà Recep Tayyip Erdogan l’Europa la dovrebbe solo ringraziare. Bruxelles è da sempre una delle sue armi elettorali più importanti, il cui ruolo varia a seconda del momento storico e delle disposizioni personali del Presidente della Repubblica.

Correva l’anno 2002 e l’allora aspirante premier aveva messo l’ingresso in Unione Europea ai primi posti del suo programma elettorale insieme con la promessa di una crescita economica. Erdogan arrivava a Bruxelles convincendo tutti della sua buona fede nel voler entrare in Europa, e incassava il mandato per indebolire quelle schiere della magistratura e dell’esercito, nelle mani degli ultra kemalisti e che rappresentavano il più grande ostacolo alla sua scalata politica.

Oggi, a 15 anni, l’Europa torna protagonista dei discorsi elettorali, ma in ben altra veste. “Passato il referendum del prossimo 16 aprile, torneremo al tavolo con l’Europa. Non se ne può più”. In mezzo ci sono sicuramente anni di speranze frustrate e di una politica incostante, ondivaga e scorretta da parte di Bruxelles.

Dall’altra però c’è un Paese, la Turchia, che ha legato le sue sorti in maniera indissolubile a quelle del suo leader, che è riuscito a cambiarla profondamente, anche grazie a un terreno molto fertile e poco conosciuto da Bruxelles, la Turchia più conservatrice e silente, su cui il leader islamico ha potuto lavorare.

Non è un’esagerazione dire che Erdogan usi l’Europa come ‘strumento di lusso’. Finché c’era da assicurarsi l’appoggio del 27 per indebolire i militari e la magistratura più scomodi, Bruxelles era una priorità.

Da tempo, il Vecchio Continente ha iniziato a rappresentare dapprima la seconda scelta della Turchia e in un secondo tempo un ostacolo alle ambizioni di Ankara in politica estera. L’ultima fase, per Recep Tayyip Erdogan è stata quella di trasformare un impedimento in una opportunità.

Ed eccolo, dopo il no de L’Aja e Berlino, iniziare a fare virare la campagna referendaria su toni sempre più anti europei, sfruttando un sentimento che nell’animo del popolo turco ha iniziato a crescere almeno dal 2009, ossia da quando la Mezzaluna ha inaugurato una politica estera sempre più lontana dall’Occidente.

Il presidente della Repubblica ha saputo trasformare un handicap, il rifiuto da parte di Olanda e Germania di ospitare comizi referendari da parte dei suoi ministri, in un’arma referendaria dalle proporzioni disastrose. Se vincerà il referendum del prossimo 12 aprile, insomma, dove si assicurerà il controllo assoluto del Paese e per legge, il merito è un po’ anche di Bruxelles.

E che dimostra un semplice teorema che qualcuno teorizzava da tempo. Erdogan ha usato l’Unione Europea per indebolire l’unica opposizione (militari e magistratura kemalista) che abbia mai avuto, ma conscio che in una parte del popolo turco covavano sentimenti antieuropei tutti da sviscerare e dall’impatto devastante.

Adesso che ha ottenuto il suo scopo e che l’opposizione vetero kemalista non c’è può passare alla seconda parte del piano, ossia la progressiva radicalizzazione della società. Il tutto grazie a Bruxelles, che sembra non essersi accorta di nulla. O forse, in nome dell’interesse nazionale dei singoli stati, non ha capito.

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