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Perché in Occidente la Festa della donna non ha più senso

Lingotto, 5 stelle, molestie

A costo di essere accusato delle più turpi nefandezze da parte della centrale dominante del “pensiero unico”, credo che oggi la festa della donna non solo non abbia più senso, almeno qui in Occidente, ma vada addirittura abolita come festa dannosa al genere femminile stesso.

Che le donne come genere e gruppo si siano in passato coalizzate per poter affermare il diritto alla loro autodeterminazione senza la tutela dei maschi o dello Stato, per poter realizzare liberamente i loro progetti di vita, è stato un processo coerente con la modernizzazione delle nostre società. Che ciò sia potuto accadere, e far pesare i suoi frutti (seppure ancora parziali), in primo luogo e soprattutto in questa parte di mondo, è un dato storicamente significativo che però la mentalità illuministica astratta e di massa che domina oggi nelle nostre società tende a non considerare. Essa anzi tende ad imputare al cristianesimo storico, e più in generale alla nostra civiltà, ogni tipo di discriminazione in funzione antifemminile. Non accorgendosi che proprio i germi presenti sin dall’inizio nella cultura cristiano-occidentale hanno permesso di raggiungere quegli stadi (ripeto ancora parziali e imperfetti) di emancipazione che oggi andrebbero celebrati.

Qualche settimana fa è uscito un libro, che ha avuto un discreto successo, in cui si ripercorre la storia del pregiudizio anti femminile nella nostra cultura (Paolo Ercolani, Contro le donne. Storia e critica del più antico pregiudizio. Marsilio). Il libro riporta passi che la nostra sensibilità odierna tende a classificare come misogini, di pensatori di ogni tempo e corrente filosofica, tutti allineati nel considerare la donna un essere “inferiore”. È un volume interessante, ma in cui l’autore, vuoi per convinzione vuoi per aderenza allo spirito dei tempi, finisce per condannare tutti i padri della nostra civiltà. Senza i quali, essa semplicemente non sarebbe.

È lo stesso processo che, in modo probabilmente più rozzo, portano avanti in certi campus americani (e non solo) femministe radicali e teorici delle minoranze. Costoro, con intento censorio, vorrebbero addirittura espungere dai piani di studi autori considerati rei di leso femminismo o maschilisti. E fa niente che i loro nomi siano quelli di Platone, Aristotele, Agostino, Nietzsche, ecc.

È quindi oggi all’opera, nella parte mediamente colta della nostra società, una mentalità antistorica e antidialettica, che, da una parte, non riesce ad andare oltre all’astratto confronto fra la nostra sensibilità e quella degli uomini del passato, e, dalll’altra, non si rende conto che la nostra consapevolezza attuale nasce non per azzeramento ma affinamento delle convinzioni del passato.

Le donne colte dell’Occidente non hanno bisogno di un femminismo identitario, e politicamente orientato, in ultima della politica (di sinistra) succube. Il passo ulteriore che esse oggi devono compiere, così come tutti noi, è quello di affermarsi e di pretendere diritti e libertà non in virtù del loro essere donne, ma semplicemente in quanto individui o rappresentanti del genere umano. Devono chiedere, a prescindere dal loro genere, di essere rese fino fino in fondo responsabili per i loro atti e comportamenti.

È questa la libertà e la conquista da pretendere e rivendicare, non già quella di essere considerate un genere “speciale” e da “tutelare” o favorire.

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