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Henry John Woodcock, Giuseppe Pignatone e i travagli del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio

Marco Travaglio e Henry John Woodcock

I clamorosi sviluppi delle indagini, per fortuna più romane adesso che napoletane, sugli appalti miliardari della Consip, che avevano portato al coinvolgimento anche del padre di Matteo Renzi, sembrano svelare l’arcano avvertito da noi, su Formiche.net, lunedì 3 aprile. Quando sulla prima pagina di Repubblica, curiosamente sotto l’apertura dedicata alla conclusione della prima parte del congresso del Pd, svoltasi con le votazioni nei circoli e favore della candidatura proprio di Renzi alla segreteria, rilevammo il richiamo molto evidente di un intervento del capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone. Che denunciava “la gogna mediatica” nella quale troppo spesso s’incorre in Italia durante le indagini giudiziarie con fughe di notizie, ma a volte anche con l’uso distorto di documenti non coperti da segreto. Per la cui gestione il magistrato suggeriva una migliore disciplina, in vista di un intervento del governo sulla materia sempre incandescente delle intercettazioni telefoniche.

È francamente difficile, direi impossibile, non collegare adesso quelle meritorie osservazioni del capo della Procura romana con ciò che nei suoi uffici si è appena deciso, non credo proprio a cuor leggero. Cioè, di mettere sotto inchiesta per falso ideologico e materiale, almeno per ora, un capitano dei Carabinieri del nucleo ambientale, o ecologico, per il trattamento di intercettazioni dalle quali gli inquirenti ricavarono a prima vista l’impressione che l’imprenditore Alfredo Romeo, oggi in carcere, avesse incontrato a suo tempo, comunque prima di dicembre, il papà di Matteo Renzi. La cui iniziale T, accanto ad una somma considerevole e mensile di euro da versargli, si trova peraltro su un biglietto attribuito allo stesso Romeo, strappato dall’interessato o da chi per lui, recuperato fra le immondizie e ricomposto dai carabinieri del nucleo ecologico.

Ebbene, dopo avere estromesso dalle indagini quel nucleo, sospettato di non essere stato a tenuta stagna nella tutela del segreto, sostituendolo con un altro reparto della stessa arma, nella Procura romana hanno ritenuto opportuno risentire ben bene le registrazioni delle intercettazioni dell’imprenditore napoletano titolare di appalti della Consip, o ad essi concorrenti. Ed hanno scoperto che a parlare di Renzi non era lui ma il suo consulente ed ex deputato finiano Italo Bocchino, napoletano pure lui. Il quale gli parlava non di Renzi papà ma di Renzi figlio, all’epoca presidente del Consiglio, avendo avuto modo neppure di incontrarlo nel senso comunemente attribuito a questa parola, ma solo di vederlo o incrociarlo casualmente in un’occasione pubblica.

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Le scoperte della Procura di Roma non sono finite tuttavia qui. Si è accertata anche la inconsistenza di un elemento denunciato dai protagonisti delle indagini, ma in verità fra le poche cose non reclamizzate, o non reclamizzate abbastanza per finire nei titoloni delle prime pagine. Che cioè i Carabinieri del nucleo ecologico impegnati dal sostituito procuratore di Napoli Henry John Woodcock a recuperare nelle immondizie pizzini, appunti e quant’altro usciti dall’ufficio romano di Alfredo Romeo fossero seguiti da un misterioso personaggio mandato da chissà chi, magari da qualche settore dei servizi segreti, a spiare il loro lavoro. Si è rivelata un’altra panzana. Il curioso era solo un abitante della zona, attratto da tanto meticoloso interesse ai contenitori dei rifiuti. Ma sembra che di questa rasserenante scoperta non si sia trovata traccia fra i rapporti visionati negli uffici giudiziari.

È chiaro a questo punto che c’è un abisso fra la realtà emersa dai controlli degli inquirenti romani e quella risultante dai brogliacci, cioè delle trascrizioni o sintesi delle intercettazioni, e da altri documenti ora contestati al capitano dei Carabinieri finito a sua volta sotto inchiesta.

Altrettanto chiare, e comprensibili, sono le reazioni di sollievo di Matteo Renzi e del padre, trovatisi esposti a lungo al solito processo mediatico che precede quello ipotetico del tribunale, dove peraltro spesso le accuse non arrivano neppure al rinvio a giudizio. Un processo mediatico che nel caso dell’ex presidente del Consiglio è stato due volte dannoso: sul piano personale, e degli stessi rapporti col padre, di cui si è scritto di tutto e di più, e su quello politico, in pieno tentativo di Renzi di recupero dalla batosta del referendum costituzionale.

Al sollievo della famiglia Renzi, e degli amici, fra i quali non mancano di coinvolti pure loro nelle indagini, come il ministro dello sport Luca Lotti, sfuggito alla solita, puntuale mozione grillina di sfiducia individuale al Senato, si contrappone il disagio, quanto meno, del giornale capofila della campagna antirenziana, che è naturalmente Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio.

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“Cade un indizio su babbo Renzi”, ha dovuto titolare in prima pagina il giornale travaglino aggiungendo tuttavia in un secondo rigo, sia pure tra parentesi, che “restano in piedi tutti gli altri”, nella speranza quanto meno professionale – per i colleghi del Fatto Quotidiano – che non si rivelino anch’essi farlocchi. A cominciare naturalmente dalla storia dell’allora sottosegretario di Renzi a Palazzo Chigi, il sunnominato Lotti, che da solo o di concerto addirittura col comandante generale dei Carabinieri informa gli amici della Consip di essere sotto inchiesta e intercettazione, consentendo loro di bonificare uffici e quant’altro e di vanificare così il lavoro degli inquirenti napoletani.

Per adesso, sui primi infortuni capitati a quegli inquirenti Travaglio ha azzardato generosamente l’ipotesi di qualche svista, di “errori materiali”, per quanto “spiacevoli”, commessi scambiando una voce per l’altra, o un testo per l’altro: tutto naturalmente in buona fede.

Sulla rampa, diciamo così, del Fatto Quotidiano è stata installata comunque un’altra postazione di missili contro Renzi, figlio naturalmente, accusato –
questa volta in primis dalla storica trasmissione televisiva di Rai 3, Report – di essersi direttamente o indirettamente adoperato per assicurare affari pubblici e privati, italiani e internazionali, all’imprenditore Massimo Pessina in cambio del rilevamento dell’Unità dal fallimento di tre anni fa.

Nella redazione dello storico giornale della sinistra non l’hanno presa naturalmente bene. E per le più diverse e comprensibili ragioni, visto che pendono altre strette economiche e nuovi licenziamenti. Il direttore uscente Sergio Staino per ora ha dato una risposta satirica, nel suo stile, a chi tanto si sta occupando più in generale del Pd e del suo segretario uscente e rientrante. Con chiara allusione ai pasticci, a dir poco, delle indagini targate Consip la figlia di Bobo nella vignetta di prima pagina chiede al padre come si scrive “Vurdoc”. Il papà risponde: “Come vuoi. Tanto, se non va bene te lo correggono i Carabinieri del Noe”, quelli cioè del nucleo ambientale, che conoscono alla perfezione il magistrato in servizio a Napoli.



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