Con la nuova rottamazione delle liti pendenti che permetterà lo sconto di interessi e sanzioni per gli atti impugnati dinnanzi a commissioni tributarie e Cassazione, siamo già al terzo provvedimento di condono introdotto dal governo di impronta Pd dopo la voluntary disclosure e la rottamazione delle cartelle.
Dei tre, quest’ultimo è sicuramente l’unico con finalità non solo ed esclusivamente “di cassa” ma risponde infatti all’esigenza sia di alleggerire il carico di lavoro divenuto insostenibile delle commissioni tributarie con oltre 450.000 cause pendenti (senza considerare quelle in Cassazione) sia di ristabilire l’equità nei confronti di tutti i cittadini ed imprese tagliati fuori dalla rottamazione delle cartelle.
Certo che parlare di equità in un caso come questo, dove si tenta di ristabilire un’uguaglianza tra beneficiari di un condono, sembra quasi paradossale, come paradossale è anche il fatto che il governo strizzi l’occhio per la terza volta in poco tempo ad una categoria di contribuenti “infedeli” senza considerare invece quelli “fedeli” schiacciati da una pressione fiscale insostenibile.
La questione etico-morale è ovviamente di grande importanza come è fondamentale però sottolineare che tra i soggetti che hanno usufruito della rottamazione delle cartelle e che magari utilizzeranno anche quella delle liti pendenti non ci sono solo soggetti evasori ma anche contribuenti colpiti dalla crisi o magari in carenza di liquidità per via di enormi crediti insoluti nei confronti dello Stato stesso.
Riflettendoci bene forse è completamente inutile parlare sia di equità sia di questioni etiche e morali nel nostro paese dove lo Stato è il primo cattivo pagatore, dove il cuneo fiscale è arrivato al 49% ed il tax rate delle imprese è arrivato quasi al 65% e soprattutto dove l’utilizzo dello strumento del condono è divenuto ormai una patologica consuetudine.