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Come e perché in Francia il vento anti Ue spinge Le Pen e Mélenchon

Fu un errore imperdonabile, per la Francia, promuovere con tanta determinazione l’introduzione dell’euro? E giocò male le sue carte, il Presidente francese Jacques Chirac, sin dall’assenso dato alla Riunificazione tedesca? E lo scambio cui addivenne con il Cancelliere tedesco Helmut Kohl, venne gravemente travisato nella sua attuazione? Applicare all’euro lo statuto monetario del marco fu dunque una colossale ingenuità? O fu già il salvataggio del solo franco francese da parte della Bundesbank, di fronte all’attacco politico-speculativo del 1992 che mise al tappeto la sterlina britannica e la lira italiana, ad aver messo le manette alla Francia?

Che cosa c’è che non va, in un Paese che sarebbe destinato al sicuro fallimento, visto che da tempo immemorabile non ha più un bilancio in pareggio, come ebbe ad affermare nel 2013 lo stesso Nicolas Sarkozy da candidato alla Presidenza? Oppure, al contrario, è l’euro che sta portando anche la Francia al fallimento?

Sono questi gli interrogativi che scuotono la Francia, annodati a ritroso, anche se affiorano solo le conseguenze di quelle scelte. Si guarda al futuro, dividendosi sull’Europa, con alternative dirompenti: da una parte si incita: “Avanti con le riforme!”; dall’altra si replica: “Basta con l’euro, e con la tirannide della destra e della sinistra dei soldi”. All’inizio era solo Marine Le Pen che batteva la grancassa della ribellione radicale, “Au nom du peuple”. Ma ora sale nei sondaggi anche Jean-Luc Mélenchon, che dalla sinistra si è messo pesantemente di traverso, guidando gli “Insoumis”. I due chiudono nella morsa i candidati dei Partiti tradizionali, da una parte François Fillon che guida Les Repubblicans, e dall’altra Benoît Hamon che cerca di sottrarre i Socialisti dal gorgo in cui è finita la Presidenza di Francois Hollande. Nel mezzo, proclamandosi né di destra né di sinistra, Emmanuel Macron si è inventato un movimento dal nulla: “En Marche!”. I personaggi politici che si azzardano ad appoggiarlo, dichiararsene sostenitori, sono subito inchiodati: da una parte è lo stesso Macron a respingerli, dichiarando che il suo non è né un Albergo spagnolo né un ricovero per vecchi, mentre dall’altra si grida al tradimento delle antiche fedeltà di partito.        

Se, al di là dei sondaggi rassicuranti, c’è incertezza sull’esito delle elezioni presidenziali, non ce n’è affatto circa il disagio: diffuso, profondo e ubiquo, per la situazione in cui versa la Francia. Incomprensibile di certo, se non si ritorna indietro alla Storia. La Presidenza Hollande, per giudizio unanime, è stata inutile: un quinquennio inconcludente. L’animo dei francesi è inquieto. I problemi della scarsa crescita, della disoccupazione, della insicurezza, si ritrovano tutti nelle statistiche economiche.

C’è innanzitutto l’orgoglio ferito. Nel 2016, infatti, non solo il passivo commerciale con l’estero nel comparto dei profumi è stato di ben 647 milioni di euro, ma nei confronti della sola Germania ha pesato per 131 milioni. Un affronto. Il saldo in rosso c’è anche per i formaggi ed i derivati dal latte: cede un altro vanto della tradizione, una colonna portante della agricoltura e dell’elettorato d’Oltralpe. Nonostante i decenni di aiuti comunitari, il passivo è stato di 393 milioni di euro in totale e di 157 milioni verso la sola Germania. Un’altra ignominia.

(prima parte di un’analisi articolata; le altre due puntate saranno pubblicate nei prossimi giorni)



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