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Venezuela, la repressione di Maduro e il big bang sociale

“Date a Dio quello che è di Dio, date a Cesare quello che è di Cesare, date al Guaire quello che è del Guaire”. E’ il testo di un tweet postato dall’account ufficiale del Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv), il partito del presidente Nicolás Maduro. Ad accompagnare la provocazione, un’immagine dei manifestanti dell’opposizione che sono stati costretti a buttarsi sul fiume-cloaca Guaire di Caracas per evitare la repressione brutale con cui i militari hanno contenuto la protesta pacifica del 19 aprile.

psuv

“CHE LA VERGONA TI RAGGIUNGA”

In risposta all’autore del tweet, Melania Pérez Arias, direttore di contenuti di Crea Comunicaciones-Latinoamérica, ha scritto su Facebook: “Spero che ti basti la presa in giro contro la dignità delle persone che sono state costrette ad attraversare il Guaire immondo per fuggire alla repressione delle Guardias Nacionales. Spero che tu ti diverta alla grande, spero che tu rida per ore. Dopo, quando la vita continuerà, e una domenica pomeriggio, tranquillo, sarai su una sedia a dondolarti, spero che ti raggiunga la vergogna. Che la tua coscienza arrivi contro di te e cominci ad odiarti. Desidero che tutto il dolore che il governo che sostieni ha provocato ai tuoi fratelli si rivolti contro di te e ti uccida da dentro”.

LA FUGA NEL FIUME-CLOACA

La sera, finita la battaglia campale tra bombe lacrimogene, gas urticanti e pallottole di gomma, mentre Maduro era in tv ballando salsa a rete unificata con la moglie Cilia Flores, i medici del poliambulatorio del municipio Chacao iniettavano le poche dosi di antitetanica che avevano alle persone con ferite più gravi che erano state in contatto con le acque fetide del Guaire. Più che un fiume, il Guaire è la discarica a cielo aperto della capitale venezuelana.

I PRIMI MORTI

Nonostante nelle proteste siano morti tre giovani – di cui un ragazzo di 17 anni che andava ad una partita di calcio e si è trovato in mezzo alla manifestazione -, il presidente vuole apparire contento. Nonostante i suoi nipoti siano stati condannati all’ergastolo in un tribunale a New York, e pare stiano raccontando tutto sulla rete internazionale di traffico di droga gestita dal governo, Maduro pensa di farci credere che ha ancora il Paese sotto controllo.

LA GUERRA DEI “COLECTIVOS”

Cinquantaquattro bambini sono stati evacuati di emergenza dall’ospedale pediatrico Materno Infantil nel Valle, un quartiere dell’ovest ovest di Caracas, dopo che le forze di sicurezza hanno lanciato bombe lacrimogene all’interno del palazzo. In quella zona popolare ci sono stati diverse proteste, scontri e saccheggi. I “colectivos”, gruppi di civili armati che sostengono il governo di Maduro, sono entrati nei palazzi alla ricerca di “traditori della patria”. Tra i saccheggiatori c’erano anche delinquenti rubando motociclette e tv, ma anche gente affamata che cercava qualcosa da mangiare.

LA CENSURA INFORMATIVA

L’opposizione ha deciso di restare in piazza per denunciare il golpe di stato del Tribunale supremo di giustizia (qui l’articolo di Formiche.net sulla decisione di sopprimere l’Assemblea nazionale), ed esigere l’indizione delle elezioni regionali che sono state annullate. I venezuelani si informano di quanto sta succedendo in queste ore nel loro Paese attraverso Twitter, Facebook, Instagram, Periscope e i gruppi di Whatsapp. La censura governativa ha silenziato completamente i media. La tv e la radio sono mobili di arredamento. Nelle case, restano spente.

IL POST (TARDIO) DI RENZI

Nei media internazionali il Venezuela è tornato in copertina. Persino l’ex premier Matteo Renzi ha pubblicato ieri un post su Facebook con l’immagine della signora María José che sfida un carrarmato nella protesta di Caracas: “Guardate questa foto. E ditemi se non vi vengono i brividi. La mente torna a Piazza Tienanmen, giugno 1989. Oggi la storia si ripete in Venezuela, un Paese sull’orlo del baratro. Ci sono proteste, morti, disperazione e dolore. E pensare che qualche illuminato aspirante statista italiano riteneva quel regime un modello. Speriamo che la comunità internazionale possa finalmente aiutare il Venezuela, questo bellissimo Paese, a tornare al benessere, alla pace, alla democrazia. Noi, intanto, non giriamoci dall’altra parte facendo finta di niente. Ciò che accade a Caracas in queste ore va denunciato con forza e chiarezza”. Peccato che quando Renzi era a Palazzo Chigi non disse una parola, nonostante tutti gli appelli degli italiani residenti in Venezuela, così come i venezuelani che vivono in Italia. Sarebbe interessante sapere cosa pensano di queste manifestazioni i parlamentari del Movimento 5 Stelle, Manlio Di Stefano e Ornella Bertorotta, da poco rientrati da Caracas con una valigia piena di elogi per la “democrazia” di Maduro…

IL DIRITTO DI AVERE DIRITTI

In Venezuela però i cittadini resistono. Credono che l’uscita della crisi debba essere elettorale e per riuscirci sono convinti che serva la persistenza, non la forza.

Il giornalista e dissidente Luis Carlos Díaz, autore della piattaforma Periodismo de paz, ha spiegato su Facebook la natura della battaglia pacifica dei venezuelani dell’opposizione: “Siamo testardi perché sappiamo che abbiamo il diritto di avere diritti. Per quello non cediamo. I cambiamenti sociali prendono forza quando quel livello di coscienza e dignità raggiunge due livelli ancora […] Siamo testardi perché insistiamo. È la nostra natura. Perché siamo cresciuti dove non si attende, perché non sappiamo chiedere permesso ma notifichiamo: siamo, stiamo, continueremo”.

PROTESTA NUDA

Un ragazzo, giovane e magrissimo, senza vestiti, con in mano una copia della Bibbia, ha chiesto ai militari di smettere con la repressione contro il popolo. È stato colpito con i gas lacrimogeni (scaduti) e con centinaia di pallottole di gomma (si possono contare i segni sulla pelle nuda). Davanti al carrarmato il protestante ha urlato al militare: “Possiamo sopportare colpi, gas. Alla lunga le ferite guariscono, ma la fame e la mancanza di libertà e di uno Stato che ci protegga al posto di maltrattarci, di quello non si guarisce finché non usciremmo da questa dittatura”.

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