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Tutta la verità di Marco Bentivogli sul sindacato italiano

marco bentivogli

Considero Marco Bentivogli uno dei dirigenti più preparati e lungimiranti del sindacalismo confederale italiano, e anche questa volta non mi ha deluso. In un articolo pubblicato sul Foglio (12 aprile) il segretario dei metalmeccanici della Cisl ribadisce una verità elementare, ma pervicacemente contestata da tutti i neoluddisti del terzo millennio: ogni rivoluzione tecnologica comporta la nascita di lavori nuovi e, parallelamente, la trasformazione di vecchi lavori, determinandone spesso la marginalità o la scomparsa. Ce ne offre un lucido ritratto (celebrato da Marx) il romanzo I due poeti, con cui Balzac apre il ciclo delle Illusioni perdute (1837-1843): “All’epoca in cui comincia questa storia -scrive- la macchina di Stanhope e i rulli inchiostratori non erano ancora entrati nelle piccole stamperie di provincia”. Nella tipografia descritta nelle prime pagine del romanzo sopravvivono perciò “Orsi” e “Scimmie”, cioè i torcolieri che si muovono tra le tavolette su cui è disteso l’inchiostro e il torchio, e i compositori, che fanno una “ininterrotta ginnastica […] per prendere i caratteri nei centocinquantadue cassettini in cui sono contenuti”. Tutte figure professionali e mansioni destinate a scomparire, poiché le loro funzioni sarebbero state svolte da macchine: il torchio a vapore, la rotativa, la linotype.

Ovviamente, non è qui possibile stilare un elenco dei nuovi mestieri legati alla rivoluzione informatica in corso. Mi limito a citare un esempio emblematico: il Mechanical Turk di Amazon, che fa riferimento al celebre fantoccio meccanico creato da Wolfgang von Kempelen per Maria Teresa d’Austria (1769); un finto automa in grado di giocare a scacchi, all’interno del quale si celava un campione dal fisico minuscolo che ne manovrava le mosse. Si tratta di una piattaforma di crowdworking (da crowd, folla, e working, lavoro), in grado di connettere chi offre lavoro con un esercito di consulenti, disponibile giorno e notte, sette giorni su sette. Non è difficile cogliere in questo portale la persistenza di un taylorismo sui generis: ogni ordine inviato on-line mobilita i dipendenti impiegati nei magazzini (per un salario medio di due dollari l’ora) in percorsi lunghi chilometri, con assegnazione di compiti parcellizzati, gestiti e monitorati grazie alla Rete e a modelli di businnes che poggiano su una dura e gerarchica divisione del lavoro (sulla Wikinomics, “la collaborazione di massa che sta cambiando il mondo”, consiglio la lettura di un bel saggio di Luca Mori, Rivoluzione informatica e lavoro tra XX e XXI secolo, nel volume collettaneo Il lavoro dopo il Novecento: da produttori ad attori sociali, Firenze University Press, 2016).

C’è qualche sindacato che si sogna di affiliare questi lavoratori e immagina come proteggerli? Io non ne conosco. Ecco perché il sindacato non può procrastinare la ricerca di una tutela e di una rappresentanza postnovecentesca, come hanno ribadito lo stesso Bentivogli e Pietro Ichino sul  Corriere della Sera di ieri. In questo senso, la regolazione dei lavori (il plurale è d’obbligo) deve cominciare dal mercato, ossia prima che il lavoratore trovi un’impiego: infatti i sindacati sorsero per difendere gli iscritti che volevano trovarsi e mantenere un impiego. Adesso si attivano soltanto quando il lavoratore si è già trovato il posto, o sta per perderlo, o lo ha perduto, cosicché in paesi come l’Italia sono più forti tra i pensionati che tra gli attivi.

Qualcuno obietterà, e continua a obiettare contro la filosofia del Jobs Act: come, i sindacati devono tornare a tutelare i lavoratori sul mercato del lavoro prima che nel rapporto di lavoro? Come nell’Ottocento? Questo ritorno al passato può sembrare paradossale, ma è logico. Perché il secolo della diversificazione somiglia di più a quello dell’eterogeneità, quando il lavoratore veniva tutelato nel complicato passaggio sul mercato del lavoro, dove era più indifeso e insicuro. Gli scenari futuri della rivoluzione digitale in corso restano problematici, sia chiaro. Il campo della cosiddetta economia della conoscenza può essere occupato sia da zone grigie tra lavoro autonomo e asservimento, sia da condizioni che valorizzano la responsabilità, l’intelligenza, la creatività, la partecipazione della persona che lavora.

La seconda prospettiva richiede idee e lotte credibili, lontane dall’estetismo spontaneista della cultura del conflitto. Richiede, inoltre, che le organizzazioni dei lavoratori e le forze riformiste non restino frastornate, divise e incerte di fronte a novità che sembrano minacciarle, ma che non basta esorcizzare o maledire. Vedere la storia come un susseguirsi di fregature e di tradimenti, per cui il mondo migliore è sempre quello non c’è, significa consegnarsi all’irrilevanza politica nel mondo che c’è (copyright Bentivogli).

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