Skip to main content

Lega Nord, cosa è successo fra Matteo Salvini, Roberto Maroni e Umberto Bossi

A poche settimane dalla re-investitura di Matteo Renzi alla guida del Partito democratico, tocca all’altro Matteo della politica italiana sperare in un nuovo mandato da parte dei propri militanti. Parliamo ovviamente di Matteo Salvini, che confida nel bis al timone della Lega Nord dopo le primarie di questa domenica e il congresso federale che domenica prossima 21 maggio a Parma certificherà il verdetto scaturito dalle urne: ha vinto Salvini con oltre l’80% delle preferenze.

LA SFIDA TRA DUE CONCEZIONI DI LEGA

Non è appena un classico regolamento di conti quello che si sta consumando nel Carroccio. Né questo congresso – passato in sordina tranne che negli ultimi giorni – serve a chissà quali riequilibri, riposizionamenti interni o giochi di potere tra correnti e territori. Niente di tutto questo, o almeno non solo: i tesserati con almeno un anno di militanza (al 31 dicembre scorso) dovranno scegliere come segretario tra il leader federale uscente Matteo Salvini e l’assessore lombardo all’Agricoltura Gianni Fava, due candidati con idee molto diverse di partito (qui il punto sulle divergenze di Formiche.net). Dalle 9 alle 18 nelle sedi delle sezioni provinciali la base leghista è chiamata a decidere se continuare con la linea salviniana volta alla costruzione di un partito nazionalista, apertamente di destra (nonostante il leader alla vigilia del voto abbia detto al Corriere della Sera di non essere di destra) e che non nasconde di voler superare i confini del Nord per espandersi nel Mezzogiorno, oppure se cambiare rotta e con Fava tornare alle ragioni di un tempo, rimettendo al centro la questione settentrionale e riportando la Lega a vestire i panni di un sindacato del Nord. Alla fine ha vinto come da pronostici Salvini con oltre l’80% dei consensi.

IL RISVEGLIO DI SALVINI

Per settimane, mentre lo sfidante Fava cercava di racimolare le mille firme necessarie per partecipare alla competizione, Salvini ha volutamente ignorato il tema congresso. Non ne parlava quasi mai nelle sue dirette Facebook, negli incontri con i militanti, in interviste o dibattiti. Soltanto durante un tour elettorale in terra mantovana, cioè nel quartier generale di Fava, aveva concesso qualche battuta al riguardo, liquidando lo sfidante come un “buon assessore”.
Poi però negli ultimi giorni qualcosa è cambiato e la strategia di Salvini ha preso tutta un’altra piega: complici anche le bordate del senatùr Umberto Bossi impegnato per Fava e un certo avvelenamento del clima sui social con lo zampino di Report (nel mirino di una recente puntata c’è finito lo spin doctor salviniano Luca Morisi che si è difeso punto per punto dalle accuse), prima è trapelata su la Stampa l’indiscrezione secondo cui il Capitano non si accontenterebbe di meno dell’80% dei consensi al congresso, poi ha coinvolto centinaia di militanti in una campagna social in suo sostegno. Fino ai recenti interventi su Facebook dove ha rivendicato di aver portato la Lega dal 3 al 13%, criticando chi – a suo dire – vuole tornare al 3% e portare acqua al mulino di Silvio Berluscini.

LA BATTAGLIA DI FAVA

Fava non è mai stato un salviniano. E negli ultimi anni la sua voce fuori dal coro leghista si è fatta sentire più volte, come quando ha aperto alla legalizzazione delle droghe leggere e al riconoscimento delle coppie omosessuali. Ma è soprattutto il ritorno alle ragioni del Nord il cavallo di battaglia dell’assessore lombardo, che propone una riscoperta delle origini indipendentiste e  autonomiste del Carroccio; temi come il residuo fiscale, il federalismo, la battaglia contro gli sprechi romani, la rivendicazione di autonomia dei territori, con lui tornerebbero nell’agenda leghista. Che invece con Salvini ha lasciato spazio a ben altri argomenti. “Siamo nati per la questione settentrionale, è una follia andare al Sud” ha scandito nei giorni scorsi a Linkiesta Giuseppe Leoni, tra i soci fondatori della Lega Lombarda con Bossi nel 1984 e primo consigliere comunale del partito, eletto a Varese. Un sentimento, questo, condiviso da buona parte del popolo leghista, ma che difficilmente potrebbe ribaltare le sorti di un congresso che sembra già segnato.
Il governatore lombardo Roberto Maroni in un’intervista al Corriere della Sera ha fatto capire in maniera piuttosto chiara di preferire la linea nordista del suo assessore, liquidando come finita con la dèbacle al ballottaggio francese la stagione del nazionalismo e dell’appoggio incondizionato a Marine Le Pen. Dal canto suo Luca Zaia se ne sta zitto, come al solito non si mischia alle beghe di partito e pensa al referendum per l’autonomia veneta che si celebrerà il 22 ottobre, insieme a quello lombardo. E nemmeno il segretario nazionale della Lega Lombarda Paolo Grimoldi, altro esponente considerato non proprio un salviniano di ferro, tiene la bocca cucita, mentre un big come Giancarlo Giorgetti è stato indicato da Salvini come candidato indipendente nel suo listino. Va detto che non sono stati molti i volti noti del partito che ci hanno messo la faccia per Fava; se Maroni non ha voluto manifestare apertamente il suo sostegno, ci ha però pensato il presidente del Copasir Giacomo Stucchi e ancor più il vicecapogruppo alla Camera Gianluca Pini, tra i più agguerriti in difesa dell’assessore lombardo e durissimo in alcune critiche a Salvini (l’ha paragonato a Erdogan per i suoi modi di fare, facendolo piuttosto innervosire).


×

Iscriviti alla newsletter