La recente sentenza della prima sezione civile della Cassazione (n. 11505/17) conferma le decisioni dei due gradi di giudizio precedente ed esclude il diritto della ex-coniuge all’attribuzione dell’assegno divorzile in quanto si è ritenuto che la stessa goda di un’autonomia e un’indipendenza economica adeguati. Il carattere innovativo di questa pronuncia risiede nelle precise motivazioni che i giudici riportano e che stravolgono la costruzione precedente secondo la quale, anche dopo il divorzio, il coniuge economicamente più debole doveva mantenere “lo stesso tenore di vita” che la famiglia supportava. Il ragionamento che attraversa questa innovativa decisione si fonda su motivazioni di carattere giuridico che rispecchiano una visione moderna e contemporanea dei rapporti tra marito e moglie.
Il secondo motivo deciso nella sentenza – il primo riguardava un’eccezione di competenza dichiarato infondato – è quello che ha fatto maggiore scalpore e che ha sollevato le proteste di chi l’ha definita una sentenza contro le donne. Qui la Corte, pur confermando l’esito delle precedenti pronunce, fa una correzione della motivazione nei limiti che la legge le consente, prevedendo che nel momento in cui “il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano dello status personale dei coniugi”, e cioè nel divorzio, gli stessi devono considerarsi “da allora in poi delle persone singole”. Ciò implica che vengono a cessare anche tutti i rapporti patrimoniali tra di loro basati sul principio di solidarietà che, pur non venendo a mancare nella fase della separazione, si interrompono completamente in quella del divorzio.
Sulla base di questo assunto, non vi è più ragione per protrarre tutta la vita quel vincolo che legava le persone unite in matrimonio. Il dovere di assistenza morale e materiale, previsto dall’art. 143 comma 2 del codice civile, in sostanza, non può essere considerato in maniera alternativa, per cui se cessa l’affectio coniugalis viene a mancare anche il fondamento, nella fase del divorzio, che deve tenere insieme due persone.
La sentenza in esame ha un grande valore sia per gli effetti giuridici che la stessa produrrà, sia per gli effetti di carattere culturale in parte richiamati nella stessa motivazione. Per quanto riguarda i primi, è chiaro che modificandosi il parametro e non già i criteri di riconoscimento del diritto ad avere l’assegno di mantenimento, il giudice dovrà, se l’orientamento indicato da questa sentenza sarà prevalente, fare riferimento non più al precedente “tenore di vita” dei coniugi durante il matrimonio, ma alle capacità economiche della parte richiedente l’assegno divorzile. La Corte, dunque, fa una vera e propria separazione tra le due fasi del giudizio, per cui nella prima si stabilisce se vi siano le condizioni per riconoscere il diritto all’assegno e in quella successiva si quantifica lo stesso, laddove i primi requisiti siano soddisfatti, così come indicato nell’art. 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970.
Ma mentre prima della sentenza in esame la valutazione veniva fatta sulla base di un parametro che doveva garantire a chi riceveva l’assegno le stesse condizioni vissute nel matrimonio, anche per il periodo successivo alla sua estinzione definitiva, adesso si prevede che ad essere valutata è la capacità economica di chi richiede l’assegno divorzile, che dovrà dimostrare di non essere in grado di potersi procurare, per ragioni che non dipendono dalla propria volontà, mezzi adeguati al raggiungimento dell’autonomia economica. Si supera dunque, dice la stessa Corte di Cassazione, quella concezione per cui il matrimonio era la strada per una sistemazione definitiva e diventa il luogo esclusivo degli affetti per cui dove cessano i primi si interrompono anche il legami patrimoniali. Sono maturi i tempi, si legge nella motivazione, per l’affermazione del principio di autoresponsabilità anche nel rapporto coniugale, per cui ciascuno deve essere valutato per le proprie capacità in maniera autonoma e non in rapporto all’altro coniuge.
Diversa è invece la situazione della quantificazione dell’assegno in caso di separazione – come deciso in una recente sentenza per il caso dei coniugi Berlusconi – per cui non valgono le osservazioni precedenti essendo la natura dell’assegno di separazione diversa da quello divorzile e trovando ancora espressione una serie di rapporti tra in coniugi che giustificano la necessità di mantenere, nella fase della separazione, il tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio.
Dunque, la lettura combinata delle due sentenze della Corte di Cassazione ci permette di concludere che nulla varia per il caso dell’assegno di separazione, mentre una rivoluzione è in atto per quello divorzile tutte le volte in cui entrambi i coniugi lavorano e possono godere di un livello economico soddisfacente. In questo ultimo caso, viene negato l’assegno di mantenimento perché cessano tutti i rapporti tra i coniugi.
Andrea Catizone, Avvocato esperta in diritto di famiglia, responsabile dell’Osservatorio sulle famiglie di Federconsumatori