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Ecco colpe e fantozzismi sui fattacci in piazza San Carlo a Torino

San Carlo, FRANCO BECHIS GIORNALISTA

Avrei voluto sentire dal sindaco di Torino Chiara Appendino parole molto diverse da quelle che ha pronunciato. Avrei voluto si prendesse ogni responsabilità di quel che è successo, perché lei è il sindaco di quella città e quel disastro di piazza San Carlo che solo per un miracolo non è stato una immane tragedia, è accaduto nella sua città grazie a un evento organizzato con l’abc di tutto ciò che non si deve fare. Un sindaco prende tutta la responsabilità su di sè, e poi verifica e rende pubblico ogni errore commesso e le eventuali responsabilità altrui, rimuovendo le persone che hanno sbagliato se dipendono da lei o denunciando eventualmente le responsabilità di altre autorità.Una gliela segnalo io subito: la responsabilità del Questore di Torino, Angelo Sanna, che si è rivelato fin dai primi minuti del tutto inadeguato al ruolo ricoperto. Il Questore di una città è l’autorità provinciale tecnica responsabile della pubblica sicurezza. A lui spettano le ordinanze per regolamentare tutte le manifestazioni e gli eventi che possono turbare o interessare l’ordine pubblico. E’ lui il responsabile di molte delle cose che non hanno funzionato a Torino: la gente in gabbia nella piazza, le vie di fuga limitate, il controllo dei venditori abusivi interni alla manifestazione. Ma Sanna è inadeguato anche per una sciocchezza detta alla stampa e filmata. Secondo lui non era possibile adottare una ordinanza per vietare la vendita di alcolici in bottiglie di vetro o latta, perché questa ordinanza sarebbe stata bocciata dalla Corte suprema come “incostituzionale”.

La Corte Costituzionale non si è mai sognata invece di vietare perché incostituzionali le ordinanze su alcol e vetro che infatti vengono adottate in ogni comune, e a Torino fanno parte addirittura del regolamento della polizia municipale. Con la sentenza 115 del 7 aprile 2011 la Corte invece ha cassato un semplice “anche” contenuto in una norma del pacchetto sicurezza varato nel 2008 dal governo di Silvio Berlusconi con cui si davano a “sindaci sceriffi” poteri di ordinanza per derogare alla legge in maniera permanente. In quel caso il ricorso era venuto su una ordinanza che vietava in un Comune in modo permanente l’accattonaggio (non c’entravano nè alcol nè vetro). Quello che fu bocciato perché incostituzionale era il potere dei sindaci di derogare in modo assoluto e permanente alla legislazione nazionale con loro ordinanze. Traduciamo per le vicende Torino: sarebbe incostituzionale vietare sempre e ovunque la vendita di alcol o di bottiglie di vetro per asporto, ma è legittima l’ordinanza di divieto per singoli eventi o anche per lunghi periodi (ad esempio la bella stagione) oppure in singole aree della città in orari limitati (ad esempio quelle notturne). Ordinanze di questo tipo esistono in ogni comune di Italia, e sono esistite pure a Torino. Ma non c’erano per piazza San Carlo.

Quindi per quanto accaduto a Torino sicuramente l’Appendino deve prendersi le sue responsabiltà di figura istituzionale guida della città, anche non avesse adottato quella ordinanza su alcol e vetro che avrebbe evitato centinaia di feriti perché il Questore le aveva detto che non si poteva. Ma deve prendersi le sue responsabilità anche il ministro dell’Interno, Marco Minniti, rimuovendo il Questore che zoppica sulla legge e le sentenze, invece di dire il profluvio di banalità insignificanti (frasette da baci Perugina) a cui ci ha abituato da quando è arrivato al Viminale. Era chi dipendeva dal suo ministero che doveva valutare se l’evento di piazza San Carlo era autorizzabile o meno, e tutti i profili di sicurezza della sua organizzazione. Come si è visto non ce ne era uno solo garantito.

Siamo in campagna elettorale permanente, e quindi ogni avvenimento viene brandito per ricavarne i dividendi politici. Potete stare sicuri che a nessuno di quelli che strepitano per i fatti di Torino importa un fico secco di chi si è ferito vivendo sulla propria carne le stimmate di quella maledetta sera. Anche la leggerezza con cui si parla con sollievo di “codici verdi”, fa davvero rabbia. Potevano esserci morti e per fortuna non è accaduto. Provate voi ad essere una ragazzina sfigurata da un vetro sulla guancia durante una caduta. Per il pronto soccorso con quattro o cinque punti la ferita è suturata, ed è appunto un codice verde. Per lei è la cicatrice che le sfigurerà il volto chissà quanto tempo. E così per tanti altri feriti “lievi”, per cui da quella sera è cambiata la vita e non poco.

Non sopporto questo continuo cicaleccio da campagna elettorale, queste iene in servizio permanente effettivo. Credo che sia necessario però prendersi le responsabilità politiche e istituzionali perché solo così si guardano in faccia i problemi e si cerca di risolvere quello che non funziona. Non cambia nulla se continui a ripetere che è colpa di altri, nemmeno fosse vero. Quella di Torino è una lezione che serve a tutti gli amministratori nuovi, e in particolare a quelli M5s. Da più parti contro di loro da tempo c’è un coro: “Non sono capaci, non sanno governare”. E certo che non lo sono e non hanno esperienza di governo: gli elettori li hanno scelti proprio per questo. Non pretendevano che facessero arrivare i treni in orario, visto che non sapevano nemmeno come fosse fatto un treno. E per altro non è che abbiamo fulgidi esempi di buon governo quando si sono scelti “esperti” e “tecnici”, altrimenti l’Italia sarebbe lì a rimpiangere le gesta dei Mario Monti e delle Elsa Fornero, e così non è.

Tutti i nuovi politici e amministratori hanno scarsa esperienza e non sono quindi di natura “capaci”. Chi li ha scelti era stufo degli espertissimi e capacissimi che con tutta questa sapienza hanno consegnato quell’Italia impoverita e in ginocchio che c’è oggi. Non è la prima volta che l’elettorato ha fatto questa scelta. Forse non vi ricordate la serie incredibile di errori e gaffes che fecero appena arrivati al governo i Silvio Berlusconi, i Roberto Maroni e tutti quei volti nuovi che nel 1994 seppellirono la vecchia Repubblica? A forza di fare errori anche molti di loro hanno messo da parte esperienza e imparato a farne meno. Credo che errori da inesperienza siano fisiologici e alla fine si perdonano, a differenza da comportamenti illeciti, da camarille familiari e dall’utilizzo del bene pubblico come fosse cosa privata.

Fossi mai stato eletto sindaco di una grande città o nominato ministro di un governo (eventi per me impossibili, perché in assoluto conflitto con il mio mestiere di giornalista), onestamente non avrei saputo nemmeno da che parte iniziare, e avrei fatto un fracco di errori. Per anni però abbiamo chiesto a gran voce un cambio radicale di classe politica, e non possiamo proprio imputare a chi arriva per la prima volta in un posto di non conoscere a menadito tutto quel che c’è da fare. Sbaglieranno e zoppicheranno, e dagli errori compiuti nasce un’esperienza e si impara a diventare capaci. Mi piacerebbe però che i nuovi amministratori riconoscessero con umiltà questa loro debolezza che potrebbe diventare esperienza utile alla comunità, invece di sventolare anche loro meriti e pregi che non possono avere con slogan elettorali cretini come quelli dei vecchi leoni della politica. Cito un caso su tutti, e lo faccio su Roma e Virginia Raggi. Si tratta del nuovo regolamento comunale sui venditori ambulanti. Un testo un po’ abborracciato, frutto di tanti compromessi, che ha qualcosa di buono e qualcosa di meno buono. Ho apprezzato le parole dell’assessore al Commercio, Adriano Meloni, che lo ha definito “un primo timido passo di riforma del settore”. Mi sono piaciute assai meno le urla trionfali di chi- in primis il capogruppo M5s Paolo Ferrara– ha reagito alle critiche fisiologiche sostenendo che si trattava di una “rivoluzione nel settore del commercio ambulante”. Oltre ad essere falso, è stupido dirlo…

(Commento tratto dal blog personale di Franco Bechis)


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