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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, tutte le incognite sulla bad bank dopo la mossetta di Intesa Sanpaolo

Carlo Messina

Si va verso il sereno o ci si immette nuovamente in un gaddiano gnommero? Purtroppo le cose volgono verso la seconda ipotesi. Se la soluzione definitiva della vicenda delle due banche venete sarà l’acquisizione di entrambe da parte di Intesa Sanpaolo, vorrà dire che l’intervento di sistema sarà stato reso praticamente impossibile dalla non condivisione di un certo numero di banche. Alcuni banchieri apertamente hanno detto che lo schema cooperativo di salvataggio, a differenza di quanto è avvenuto in passato, oggi non sarebbe replicabile, stanti le scelte strategiche e organizzative che nel frattempo sono state assunte da diversi istituti.

L’acquisizione riguarderebbe asset in bonis, non le banche in quanto tali, dunque attività scelte fior da fiore dopo avere trasferito i 9 miliardi di crediti deteriorati in una bad bank. Di norma nel caso di liquidazione chi interviene si accolla attività e passività: nel caso specifico si acquisiscono solo le prime al prezzo simbolico di 1 euro e a condizione che non impatti significativamente sul patrimonio dell’acquirente e che non si debba decidere un aumento di capitale. Si aggiungerebbe l’adozione, da parte dello Stato, della normativa erga omnes, ma con ricadute specifiche, per rafforzare l’agevolazione all’esodo dei dipendenti.

Insomma, un’acquisizione per un euro con l’incentivo degli esodi agevolati e soprattutto con il trasferimento ad altri dei prestiti deteriorati. Ma restano alcuni interrogativi. La cessione delle attività buone avverrebbe anche con qualche garanzia pubblica? Come funzionerà la bad bank che assumerà gli npl? Con quale capitale? Il Tesoro interverrà e come? Si eviterà di sentirsi contestare la violazione del divieto di aiuti di Stato? O il divieto sarebbe singolarmente valso soltanto per la ricapitalizzazione precauzionale pubblica?

Se il Tesoro interverrà con proprie risorse, l’operazione formerà oggetto di un decreto che farà riferimento all’imposizione del leone a ottenere il meglio in una spartizione? Si tratta di un’operazione che esige ancora ampi chiarimenti, innanzitutto con riferimento alla bad bank e al modo in cui verrebbe visto, anche a Bruxelles, l’apporto eventuale di capitale pubblico per un vantaggio privato, non essendo così semplice affermare che in questo caso non vi sarebbe lesione della concorrenza né violazione del divieto di aiuti di Stato, di cui la Commissione Ue è normalmente ossessionata. Non si dimentichi che la ricapitalizzazione precauzionale è venuta meno perché non si è riusciti, come accennato, a far convergere un certo numero di istituti per integrare con 1,25 miliardi l’apporto pubblico. Può sembrare paradossale; eppure è così.

Ma, se fosse prevalsa la soluzione cooperativa, si sarebbe almeno avuta la certezza che le due banche si sarebbero aggregate in una, con l’intento di vivere una vita autonoma, rimanendo quest’ultima insediata nel territorio e sostenendo famiglie e imprese con la vocazione a un localismo correttamente inteso. Ora invece si procede «a pezzi», con una grande stampella offerta dalla mano pubblica e con la classica partecipazione del privato ai benefici e non alle perdite. Inoltre come si svilupperà il rafforzamento della normativa per l’agevolazione all’esodo dei dipendenti? È stato già previsto un confronto con i sindacati? Questi avevano reagito duramente diversi mesi fa, quando si era profilata un’ipotesi di esodo rilevante. E se l’opzione Intesa dovesse arenarsi, cosa si farà? Si tornerà indietro in questo stucchevole monopoli?
Sarebbe un colpo definitivo per il Tesoro, che ha dimostrato assai scarsa perizia e autorevolezza nella regia della soluzione; l’eventuale esercizio di una legittima moral suasion non ha funzionato e ciò la dice lunga sulla rispondenza dell’azione del Tesoro nel sistema. Una crisi gestita in un modo pessimo, che mai si era visto fino a oggi dal periodo postbellico. Certo, se si dice che così si evita il bail-in e bisogna dunque trangugiare la soluzione anzidetta, si deve concludere che al peggio non c’è mai fine.

A questo punto sarebbe più che doveroso che Padoan riferisca in Parlamento. È una lezione dura che unisce alla pessima prova del Tesoro la necessità che la Direttiva Brrd sia profondamente rivista. Non accorgersi dei danni che essa ha fatto arebbe gravemente colpevole; ancor più lo sarebbe avere consapevolezza di ciò ma rimanere inerti.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza)


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