Appena un anno fa i tre round delle elezioni presidenziali in Austria avevano generato suspense in Europa, viste le concrete possibilità di successo del candidato dell’estrema destra dell’Fpö Norbert Hofer (poi battuto dal verde indipendente Alexander van der Bellen). Non minore attenzione meriterebbero le elezioni legislative di domenica 15 ottobre, sinora eclissate da quelle tedesche del 24 settembre scorso.
In entrambi i Paesi di lingua tedesca i sondaggi degli ultimi mesi hanno previsto con ampio margine la vittoria del candidato democristiano, pur lasciando aperta la Koalitionsfrage, la scelta degli alleati. Con una significativa differenza. In Germania, la AfD, pur trionfante perché entra nel Bundestag ed è il terzo partito federale, si ferma al 12,6% e non ha alcuna possibilità di far parte di una maggioranza di governo. In Austria, invece, l’Fpö è da sempre uno dei tre grandi partiti, controlla tuttora circa un quarto dell’elettorato e ha buone probabilità di entrare nella stanza dei bottoni.
L’ENFANT PRODIGE DELL’ÖVP
Alla fine del 2016 e ancora nei primi mesi di quest’anno tale prospettiva era alquanto più preoccupante: la Fpö era nettamente in testa nei sondaggi e si pensava che il suo leader Heinz-Christian Strache avrebbe potuto pretendere la cancelleria, proponendo all’indomani delle elezioni originariamente previste nel 2018 un’alleanza a uno dei due tradizionali partiti di governo, attualmente insieme al potere in un connubio di grandi intese ormai logoro.
Questi rapporti di forza sono stati drasticamente ribaltati dalla discesa in campo del trentenne Sebastian Kurz, in foto. Un anno, fa il partito popolare Övp si aggirava nei sondaggi intorno al 19-20%; nella primavera scorsa era balzato oltre il 30%, grazie alla ventata di rinnovamento e di dinamismo scatenata dall’ambizioso e fotogenico ministro degli Esteri nel frattempo giunto alla leadership conservatrice: un passaggio politico che ha accelerato la fine della grande coalizione fra popolari e socialdemocratici, con la convocazione delle elezioni anticipate in autunno. Attualmente, il suo partito sembra poter puntare ad almeno un terzo dei voti, con un distacco di circa il 10% rispetto sia ai socialdemocratici dell’Spö del cancelliere Christian Kern sia all’Fpö di Strache.
Più che il dettaglio dei risultati elettorali che verranno resi noti il 16 ottobre, sarà interessante vedere le conseguenze che ne trarranno i dirigenti dei principali partiti, e in primo luogo il vincitore (salvo sorprese oggi impensabili) Kurz, ai fini della formazione della prossima coalizione.
LE POSSIBILI COALIZIONI
Le due opzioni atte ad assicurare una comoda maggioranza (del 55-60% circa) sono una riedizione dell’attuale Große Koalition, ma a ruoli invertiti, cioè a guida democristiana, come sinora in Germania, oppure un’alleanza di centro-destra fra Kurz e Strache, analoga a quella fra l’allora cancelliere dell’Övp Wolfgang Schüssel e l’estrema destra di Jörg Haider, che nel 2000 scandalizzò l’Europa e spinse l’Ue a decretare sanzioni politiche contro l’Austria.
La prima opzione sarebbe evidentemente quella più tranquillizzante per i partner europei, ma è stata a più riprese dichiarata inagibile dai diretti interessati perché troppo logorata dalle divergenze di questi ultimi anni. Cambieranno idea dopo le elezioni? I democristiani potrebbero forse trovare più accettabile un ritorno alla Große Koalition, avendo ora il diritto di stare al timone, e con un timoniere autorevole (e autoritario). Ma va anche detto che molti di loro (oltre metà, compreso lo stesso Kurz, a differenza del suo predecessore nella carica di vice-cancelliere Reinhold Mitterlehner) non hanno pregiudiziali contro una collaborazione organica con l’Fpö di Strache, mentre vedono nei socialdemocratici un ostacolo alle riforme necessarie per ridare fiato all’economia austriaca.
Più difficile sarà la posizione del centrosinistra: in quanto junior partner in una nuova coalizione di larghe intese, rischiano di dover assecondare scelte politiche conservatrici; d’altronde, passando volontariamente all’opposizione si assumerebbero la responsabilità di aprire la strada all’ingresso di Strache nel governo. Kern si è dichiarato indisponibile a continuare la collaborazione con i democristiani, se non come senior partner, cosa ormai estremamente improbabile. In altre parole, se non sarà più capo del governo, non vuole neanche essere vice-cancelliere; ma è disponibile a farlo l’attuale ministro della Difesa, Hans Peter Doskozil.
LA RIABILITAZIONE DELL’ESTREMA DESTRA
Teoricamente non si può neppure escludere una coalizione sinistra-destra (Spö-Fpö) che spedisca il vincitore democristiano all’opposizione. La escludeva la dottrina Vranitsky, dal nome del cancelliere che l’aveva enunciata trent’anni fa: ma la conventio ad excludendum nei confronti dell’Fpö è stata recentemente abrogata. La maggioranza del partito socialista (compreso Kern) è tuttora contraria; è invece favorevole una minoranza guidata dal presidente del Burgenland Hans Niessl, che nella piccola regione orientale governa già con questa composizione, sperimentata pure in alcuni altri Länder. Al momento, comunque, tale soluzione non sembra avere i numeri al livello nazionale.
Una quarta ipotesi, che potrebbe delinearsi nel caso di una vittoria a valanga che porti il partito di Sebastian Kurz al 36-38%, è quella di una coalizione con i partiti minori (simile alla formula “Giamaica” ora perseguita da Angela Merkel a Berlino con liberali e verdi) o un governo di minoranza con il loro appoggio occasionale. Una soluzione precaria, quest’ultima, ma congeniale a un giovane leader decisionista, poco incline a negoziare compromessi.
Nell’insieme, dunque, i risultati elettorali sono largamente prevedibili (vittoria di Kurz con ampio margine), salvo il testa a testa fra socialisti ed estrema destra. Del tutto aperta la questione della coalizione, ma con buone probabilità per Strache di entrare nel governo.
(Articolo pubblicato su Affari Internazionali)