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Quell’unico problema italiano

Prodi

C’era da dubitarne, forse? “La pubblica amministrazione è l’unico problema italiano”: così si sarebbe espresso Romano Prodi, ex Presidente del Consiglio ed ex Presidente della Commissione europea, uno dei protagonisti della recente storia Italiana per il quale nutro, senza retorica, profondo rispetto. La dichiarazione, rilasciata a margine del convegno di presentazione del suo ultimo libro, “Il piano inclinato”, appare senza dubbio stridere con la cifra istituzionale del suo profilo politico e personale. Un paradosso? Non basta: “Il problema è che ci si sta isolando dal mondo» per una “incapacità di prendere le decisioni nei tempi dovuti. Dopo Tangentopoli, la difesa dei funzionari è stata di non prendere più decisioni o di dividere in tappe il procedimento decisionale”, ha detto Prodi, secondo cui “il Paese è paralizzato dall’incapacità di decidere. Il Tar? Se non ci fosse, il nostro sviluppo crescerebbe del 5 per cento”. Non ho avuto ancora modo di leggere il nuovo libro del Professore, che si occupa di temi fondamentali, come la dimensione dell’uguaglianza e della crescita inclusiva nelle società che subiscono il fortissimo impatto della finanza internazionale e del processo di globalizzazione: aspetti nei quali non può non giocare un ruolo determinante la componente gestionale-amministrativa di un Paese. E proprio perché non credo ci siano dubbi sulla serietà profonda che Prodi impiega nell’analisi di tematiche così attuali e nodali per la comunità internazionale, si fa fatica a capire: l’unico problema italiano? Siamo naturalmente tutti d’accordo che le manchevolezze delle macchine pubbliche sono tante. Non è, tuttavia, solo un problema di casa nostra: è un problema, organizzativo prima che amministrativo, che permea le strutture burocratiche di tutti gli Stati moderni e che Max Weber, fra gli altri, aveva mirabilmente dipinto già un secolo fa. L’efficienza dell’amministrazione pubblica, tanto più se si tratta di un Paese che fa parte delle sette nazioni più avanzate al mondo, è, senza dubbio, un problema che deve trovar posto nell’agenda di tutti i Governi, indipendentemente dal loro colore politico. Se questo è vero, non farà male ricordare che dove c’è uno Stato deve esserci una pubblica amministrazione. Non “può”: “deve”. Se non c’è, non c’è uno Stato. Almeno in attesa di soluzioni migliori. Lo capisco: la burocrazia non è affascinante, non fa tendenza, non è cosa semplice. E non è appealing. Anzi, grazie al tarlo fordista che alberga nelle nostre teste, è poco meno di una iattura, un male necessario che va ridimensionato e rimesso a posto, se non, addirittura, eliminato appena possibile. Detto questo, provo a suggerire di aggiungere al “problema P.A.” qualche altra criticità che affligge questo tormentato Paese: non per ipocrita benaltrismo e per buttarlo in fondo alla lista, croce sul cuore. Ma per amor di verità e cronaca civile. Azzardo qualche ulteriore candidatura. Le mafie: che attanagliano tante regioni d’Italia, condannando troppi giovani alla miseria e alla morte e le comunità locali a sottostare ad un regime di violenza e sopraffazione. La corruzione: che sembra esserci attaccata addosso come una malattia della pelle che non riusciamo a debellare, a braccetto col nepotismo, l’indifferenza al senso di comunità e all’insofferenza per il bene pubblico. La condizione delle donne: ancora condannate a intollerabili disparità salariali e vittime di crimini le cui cause affondano nell’idea marcia di maschio che alberga in troppe zucche vuote. Il disastro edilizio e idrogeologico: che ha reso il suolo della penisola un campo di battaglia con morti e feriti, devastando le coste ed il territorio di un Paese baciato dalla Dea Bendata. L’evasione fiscale: una vera e propria piaga che costa 270 miliardi di euro, il 18% del PIL nazionale e che si alimenta del nostro solipsismo. La lista è lunga, le soluzioni complicate, i tempi incerti, la volontà di darsi da fare impalpabile. Eppure, sapete cosa? L’Italia non è solo questo. Anche grazie a quella maledetta pubblica amministrazione che, con le sue mille contraddizioni, a fatica e talvolta malvolentieri, spinge la carretta. Proprio lei, l’unico problema italiano.

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