Anche sui numeri della manifestazione unionista di ieri a Barcellona la Spagna è divisa in due. Secondo la Delegazione del governo, circa 1,3 milioni di persone hanno manifestato a favore dell’unità del Paese e contro la dichiarazione (unilaterale) d’indipendenza della Catalogna di venerdì 27 ottobre. Invece, la Guardia Urbana, polizia municipale di Barcellona, calcola che la partecipazione è stata di circa 300mila persone.
LA MARCIA
La marcia unionista è stata organizzata dall’associazione indipendente Societat Civil Catalana (SCC) con il motto “Tots som Catalunya” (Tutti siamo Catalogna). L’obiettivo, secondo gli organizzatori, era “esprimere il rifiuto della società verso la dichiarazione d’indipendenza e dimostrare che la maggioranza dei catalani vuole continuare a fare parte della Spagna”.
CHI MARCIAVA PER L’UNITÀ
Alla manifestazione hanno partecipato molte formazioni politiche, tra cui Partito Popular (PP), Partit Socialista de Catalunya (PSC) e Ciudadanos; sono gli stessi partiti che hanno spinto per l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione. In prima fila c’erano anche leader come Miquel Iceta (PSC) – presente per la prima volta in una protesta organizzata dalla SCC –, Xavier García Albiol (PP) e Inés Arrimadas di Ciudadanos (nella foto alla manifestazioni di ieri a Barcellona). Dopo la marcia, ha preso la parola sul palco della Gran Vía Josep Borrell del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), che ha dichiarato di avere fiducia nella giustizia e ha chiesto responsabilità a “tutti quelli che stanno facendo del male alla Catalogna”.
TRA COMUNISTI E GRUPPI DI ESTREMA DESTRA
Ha parlato anche Paco Frutos del Partito Comunista di Spagna (PCE) che è stato molto duro contro l’indipendentismo, accusando i leader separatisti di essere dei traditori. Poi il PCE ha dichiarato sui social network di non sostenere la marcia convocata dalla SCC e ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Frutos. Il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, ha detto che il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, “vive in una realtà parallela […] Bisogna andare a votare in massa per cacciarlo via”. Il presidente della SCC, Mariano Gomà, ha ringraziato ironicamente l’“ex president Puigdemont” e i suoi soci del governo “perché hanno chiuso questo triste capitolo della storia della Catalogna”. Alla marcia unionista hanno partecipato anche membri di organizzazioni di estrema destra come Falange Española, Falange Auténtica, Generación Identitaria, Plataforma X Catalunya, Vox, Democracia Nacional ed España 2000. Sono stati registrati alcuni episodi violenti contro un giornalista del sito ElNacional.cat, un tassista e un’impiegata della metropolitana. Tutti avevano risposto in catalano ad alcuni assistenti della manifestazione per l’unione della Spagna.
L’IPOTESI DI ARRESTO DI PUIGDEMONT E L’ASILO IN BELGIO
“Puigdemont in galera” è stato uno degli slogan uscito più o meno spontaneamente dalla protesta (il ministro degli Esteri spagnolo, Alfonso Dastis, ha detto che Puigdemont potrà partecipare alle elezioni regionali del 21 dicembre “se non si troverà in carcere”). Oggi, lunedì 30 ottobre, dovrebbe essere formalizzata l’accusa di ribellione contro Puigdemont, mentre il quotidiano catalano ARA ha scritto che è possibile che nel pomeriggio potrebbe esserci l’arresto. Il governo di Madrid ha lasciato qualche ora ai ministri del governo catalano per prendere le valigie e lasciare gli uffici governativi. Il Belgio ha anticipato che potrebbe offrire l’asilo politico a Puigdemont. Il ministro belga Theo Francken, leader del partito separatista fiammingo N-VA, ha detto che dubita che Puigdemont possa essere sottoposto a un equo processo: “Non è irrealistico pensare che il Belgio possa proteggere Puigdemont, guardando alla situazione attuale – ha detto Francken alla rete tv fiamminga VTM – alla repressione di Madrid e alla condanne che vengono proposte ci si può chiedere se avrà un processo equo”. Il portavoce del Partito Popolare, Esteban Gonzalez Pons, ha definito le parole di Francken “inaccettabili”, sostenendo che si tratta di “gravi accuse contro il sistema legale spagnolo”.
LE DIVISIONI DEL PARTITO PODEMOS
Certo è che la questione catalana sta dividendo non soltanto i cittadini, ma anche i partiti. La direzione nazionale di Podemos ha negato l’autorizzazione di operatività alla fazione catalana, Podem, e il segretario generale, Albano-Dante Fachin, a causa delle tesi indipendentiste. Da quanto si legge sul sito El País, il partito guidato da Pablo Iglesias si sta sgretolando anche per le divisioni sul tema della Catalogna. Il consiglio di coordinazione di Podemos ha approvato un referendum immediato tra gli iscritti di Podem per decidere se si presenteranno insieme alla coalizione Catalunya En Comú. In Catalogna i riferimenti di Podemos sembrano essere il sindaco di Barcellona, Ada Colau, e il portavoce di En Comú Podem, Xavier Domènech, e non più i leader di Podem.
Secondo Dante Fachin, che si è sempre considerato contro l’indipendentismo, le elezioni convocate da Mariano Rajoy non sono “normali” ed esigono una “risposta all’altezza”, per cui ha cominciato una serie di incontri politici per difendere “i valori democratici e il diritto a decidere insieme, in difesa dei diritti sociali”. Il leader di Podem ha detto che è contrario alla partecipazione alle elezioni del 21 dicembre “soltanto per vincere quattro deputati”. Il vicepresidente della Catalogna, Oriol Junqueras, ha ringraziato il gesto di Dante Fachin e ha detto che è disponibile ad incontrarlo.
Come si legge in un articolo intitolato “L’esplosione dantesca di Podemos” pubblicato sul Pais, “Podemos ha creato Pablo Iglesias, ma Pablo Iglesias vuole distruggere Podemos […] Iglesias sta conducendo il partito alla peggior crisi per la nefasta e temeraria gestione della situazione catalana”.
COSA SI DICE IN ITALIA
In Italia però la Catalogna sembra mettere d’accordo organizzazioni politiche diametralmente opposte. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha detto in un’intervista a Sky Tg24 che spera che in Spagna si mettano d’accordo “perché se fanno a braccio di ferro ci vanno di mezzo i cittadini. […] In Europa spingerò perché si accordino per un maggior grado di autonomia senza manganellate e senza forzature che non vanno bene né da una parte né dall’altra”. Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, ha dichiarato da Palermo che “il decentramento funziona, il mondo sta andando verso il decentramento”. Dalla Sicilia ha spiegato che si riferiva alla Spagna, a non solo: “Il futuro è il decentramento. I siciliani hanno la possibilità di fare cose che in Italia non possiamo fare”.