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Elezioni Sicilia, ecco come la Regione ha volatilizzato i fondi europei

Un flusso milionario di fondi europei arriva a Palermo e lì si arena, imbrigliato da meccanismi bizantini di Palazzo d’Orleans. La Regione, infatti, non conclude i progetti per cui quei soldi erano stati stanziati, così nel frattempo scadono i termini e milioni di euro destinati alla Sicilia devono tornare a Bruxelles. Colpa dell’inefficienza dell’apparato amministrativo, ma non solo.

È la Corte dei Conti siciliana a fotografare la situazione, non certo lusinghiera per il governo locale, nella relazione allegata al rendiconto della Regione del 2016.

COME FUNZIONANO I FONDI EUROPEI

In Sicilia arrivano fondi da vari “serbatoi”: il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale Europeo (FSE), il Programma di sviluppo rurale (PSR) e il Fondo Europeo della Pesca (FEP). Si tratta di soldi che l’Europa stanzia per finanziare progetti di varia natura – infrastrutture, incentivi alle imprese, ma non solo – con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dei territori meno avanzati, o particolarmente “depressi” dal punto di vista occupazionale. Quei soldi sono in sostanza il carburante che, almeno in teoria, dovrebbe consentire alle zone “disagiate” di tenere il passo con le locomotive d’Europa. In realtà, questo non avviene o avviene in minima parte: la Sicilia – come del resto buona parte del sud Italia – non solo non “corre” abbastanza per raggiungere le regioni del nord, ma nel complesso rallenta la corsa dell’Italia, che a sua volta fatica a colmare il gap con la Germania.

I finanziamenti vengono autorizzati dalla Commissione (nella foto il presidente Jean-Claude Junker) sulla base di progetti, ma prima che i soldi giungano fisicamente a destinazione occorre rispettare una serie di adempimenti: uno di questi è la tempistica: se gli interventi non vanno in porto entro il termine fissato da Bruxelles, i fondi vengono revocati. Ed è quello che sta succedendo.

IL GRUZZOLO CHE RITORNA A BRUXELLES

La scadenza, per l’attuale tornata di erogazioni, era fissata al 31 marzo 2017. La Corte dei Conti, lo scorso luglio, ha lanciato l’allarme, fornendo anche i numeri dello stato dell’arte. “I dati finali si attestano sul 96,42 per cento di spesa certificata relativamente al Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR), sul 100 per cento per il Fondo Sociale Europeo (FSE), sul 98,75 per cento per il Programma di Sviluppo Rurale (PSR) e sul 83,57 per cento per quanto riguarda il Fondo Europeo per la Pesca (FEP)”.

Da una stima pubblicata a luglio dall’europarlamentare Rosa D’Amato sul blog del Movimento 5 Stelle si parla di 116 milioni relativi alla Sicilia, su un totale di 172 milioni relativo a tutta l’Italia.

SICILIA FANALINO DI CODA

La Corte dei Conti conferma che il risultato regionale è “di gran lunga inferiore rispetto alla media nazionale”. E poi rincara la dose: “È di tutta evidenza come l’integrale assorbimento dei fondi strutturali europei sia di cruciale importanza per il panorama regionale siciliano afflitto da una mancanza di risorse e aggravato da un’importante crisi economica. In tale contesto congiunturale, si può ritenere come l’utilizzazione dei fondi strutturali non abbia avuto quell’effetto propulsivo e moltiplicativo, tipico degli investimenti pubblici, ma soltanto un effetto sostitutivo e “tampone” rispetto alle conseguenze della crisi”. E ancora: “Un’efficiente gestione dei fondi europei rappresenterebbe l’unica vera risorsa per colmare il grave gap esistente tra la Sicilia con le altre regioni italiane e con gli altri paesi europei che, malgrado la profusione di ingenti risorse, alla fine del quarto ciclo di programmazione comunitaria, non risulta colmato, dal momento che l’Isola si trova ancora all’ultimo posto delle regioni facenti parte dell’obiettivo convergenza”.

I CONSIGLI DELLA CORTE: INVESTIRE IN GRANDI INFRASTRUTTURE

La magistratura contabile entra poi nel merito dei vari progetti e suggerisce direttamente all’amministrazione le politiche da attuare. Il “consiglio”, diciamo così, è di non disperdere le richieste di fondi in tanti piccoli progetti, ma di “concentrare la programmazione dei fondi su grandi interventi infrastrutturali” al fine di garantire, tra l’altro “una maggiore crescita occupazionale nell’isola”.

Secondo la Corte, infatti, sarebbero “le ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende siciliane, la loro bassa capitalizzazione e la difficoltà di accesso al credito” a rendere inefficaci gli investimenti comunitari”. Il risultato? “Numerosi provvedimenti di revoca di finanziamenti, per un valore superiore a 93,4 milioni di euro”.

L’INEFFICIENZA AMMINISTRATIVA

Non solo. Sotto accusa finisce anche la gestione del programma dei finanziamenti, la cui attività istruttoria è stata affidata agli organismi intermedi Sviluppo Italia Sicilia (una società della Regione), Crias (la Cassa regionale per il credito alle impresi artigianali siciliane) e Banca Nuova. Per la Corte dei Conti questo affidamento “può aver contribuito al mancato assorbimento di tutte le risorse”. In merito la magistratura solleva dubbi sia sui costi dei contratti di servizio con gli organismi intermedi che sulla “qualità delle prestazioni rese”.

C’è poi da considerare “la fragilità organizzativa e finanziaria degli enti locali” che per i magistrati “ha certamente influito negativamente”. Non solo: per la Corte i pensionamenti in molte posizioni apicali hanno creato “un depotenziamento delle strutture di tutte le Amministrazioni centrali preposte all’attuazione e al controllo”. Una considerazione che può apparire paradossale, specie se confrontata ad altri rilievi che la stessa Corte ha mosso alla Sicilia, in merito alla grande sovrabbondanza di dirigenti in dotazione alla Regione.



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