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Web tax, che cosa prevede il documento di Bruxelles in consultazione

Una consultazione pubblica in grande stile. Come sono state fatte in passato sulla moneta unica, le banche o le tematiche sul lavoro. L’esecutivo comunitario non molla la presa sulla web tax e rilancia in previsione di una proposta operativa che potrebbe arrivare entro il prossimo marzo. Per questo c’è bisogno del supporto dei cittadini, delle imprese e delle organizzazioni dell’Unione che avranno tempo fino al 3 gennaio per poter dare qualsiasi tipo di suggerimento al legislatore europeo. Un impegno preciso dopo il vertice di Tallin dello scorso ottobre raccontato da Formiche.net e su quale si è registrata la condivisione di ben 19 stati tra cui Italia, Francia, Spagna e Germania che per primi hanno parlato della necessità di tassare i big dell’economia digitale.

GLI OBIETTIVI DEL QUESTIONARIO

Il principale scopo della consultazione pubblica, raggiungibile a questo indirizzo web, è quello indicato nell’introduzione della survey: “individuare il giusto approccio alla fiscalità dell’economia digitale per garantire una tassazione più equa e più efficace, a sostegno delle entrate pubbliche, della crescita e della competitività dell’Unione Europea attraverso il mercato unico digitale”. Il questionario richiede circa 20 minuti per essere completato e consente anche di allegare un position paper o qualsiasi tipo di documento ritenuto rilevante per spiegare meglio le proprie opinioni. Al momento è accessibile solo in inglese, ma a breve sarà disponibile in tutte le lingue ufficiali dell’Ue. Il documento che si compone di sei capitoli (introduzione, riepilogo delle posizioni, richiesta del contributo dell’utente, analisi delle problematiche, possibili soluzioni e ipotesi di lavoro finali) è interessante perché nella formulazione delle domande la Commissione si lascia andare a nuove proposte. Come quella da realizzare “nel lungo periodo” una web tax unitaria: “Un’imposta su una quota dell’utile mondiale delle società digitali da ridistribuire a ciascun Paese membro in base alla percentuale di utili ottenuti in tale Stato”. E se questo potrebbe essere possibile solo nel lungo periodo i tecnici di Bruxelles nel breve termine chiedono se sia giusto che “gli Stati membri potrebbero introdurre una tassa sugli utili provenienti dall’attività o servizi digitali”, come la vendita di annunci pubblicitari. Potrebbero anche, si legge in una delle risposte multiple fornite nel sondaggio, “trattenere alla fonte una parte dei pagamenti digitali o prevedere una tassa sulle transazioni digitali per quelle società che vendono i dati personali degli utenti”.

DOMANDE PER EVITARE POSSIBILI AUTOGOAL

Il questionario, a cui si può rispondere anche in forma anonima, è valutato dai tecnici della Commissione molto importante per capire se la web tax è un’esigenza più dei governi che degli utenti, anche perché c’è il rischio – spiega una fonte comunitaria a Formiche.net“che questa misura, se mal formulata, possa solo fare il solletico ai big dell’economia digitale e mettere invece in ginocchio le piccole e medie realtà digitali, a partire dalle start up”. Insomma, un clamoroso autogoal. Ecco perché le domande sono le più varie e ad ampio raggio: “In che misura ritiene che le norme fiscali internazionali siano adatte all’economia digitale?” e ancora: “C’è bisogno di rivedere le attuali norme internazionali per la tassazione dell’economia digitale? Se sì, in che modo? A livello internazionale, nazionale o all’interno dell’Ue?”. 

MOSCOVICI: FISCALITA’ VA CAMBIATA AL PIU’ PRESTO

Lo strumento della Consultazione pubblica è tenuto in alta considerazione dal governo comunitario, basta vedere i quesiti che vengono posti su molteplici temi che toccano la vita quotidiana di imprese e cittadini. Come a dire: non è un semplice sondaggio, semmai una vera e propria bussola di cui l’esecutivo europeo sente la necessità. Lo ha spiegato bene il Commissario per gli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici (nella foto), annunciando la consultazione pubblica ammettendo che “è innegabile che il nostro quadro fiscale non è più in linea con lo sviluppo dell’economia digitale né con i nuovi modelli imprenditoriali. Dobbiamo trovare una soluzione a livello di UE che dia risposte forti alle imprese e agli investitori nel mercato unico”. La Commissione è interessata in particolare a raccogliere pareri sui problemi principali connessi alla tassazione dell’economia digitale per gli Stati membri e le imprese e chiede anche un riscontro sulle possibili soluzioni a questi problemi, in termini sia di misure mirate e temporanee che di soluzioni generali a lungo termine. Partendo anche dalle tre proposte presentate lo scorso 21 settembreuna tassa sul fatturato, una ritenuta sulle transazioni digitali e un’imposta sui messaggi pubblicitari – ma sulle quali non c’è stato l’accordo dei 27 Paesi. Soprattutto per il diniego da parte di piccoli stati come Malta, Irlanda, Lussemburgo dove grazie ad incentivi fiscali e leggi accomodanti i colossi del web come Amazon, Google e Facebook hanno installato le loro sedi operative.

CONSULTAZIONE PUBBLICA PER RENDERE TRASPARENTE ECONOMIA DIGITALE

Insomma, non sarà facile trovare una soluzione che possa essere accolta egualmente da tutti gli Stati dell’Unione. E la consultazione pubblica servirà anche a misurare l’umore dei cittadini verso la web tax. Ciò che colpisce è anche lo studio che la Ue ha presentato per motivare la necessità di una tassa europea contro i colossi del Web. “Nel periodo fra il 2008 e il 2016, i dati sul commercio al dettaglio nell’Ue hanno mostrato un aumento annuo di fatturato pari all’1%, mentre i cinque principali operatori di e-commerce hanno realizzato crescite di fatturato del 32% all’anno”ha spiegato Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione Europea. Tutto ciò conferma che le imprese digitali devono essere sottoposte a un’equa tassazione. Si tratta di un problema non di poco conto: in media, le imprese che hanno un modello di business digitale sul mercato interno sono soggette a una aliquota effettiva dell’8,5%, che è meno della metà rispetto alle imprese tradizionali (20,9% per quelle domestiche, 23,2% per quelle internazionali); la disparità si deve al fatto che le imprese digitali si basano in misura rilevante sui cosiddetti cespiti intangibili, per loro natura difficili da valutare, e beneficiano di sgravi fiscali. Le imprese digitali transfrontaliere sono in grado di ridurre ulteriormente le tasse, poiché i loro intangibili sono molto mobili. Non solo: sfruttando i regimi fiscali più favorevoli, le imprese digitali possono portare i propri oneri fiscali a zero. Tuttavia, queste aziende sfruttano le reti, le infrastrutture e le istituzioni dello Stato di diritto esistenti negli Stati dell’Ue, senza pagare tasse da nessuna parte – ha fatto notare ancora il numero due della Commissione Europea.

Tutto questo i cittadini comunitari, abituati ad usare gratis la Rete e i servizi delle big company, non lo sanno. Anche per questo la consultazione pubblica – soprattutto quando riassume le posizioni in campo – vuole rendere trasparente tutti i passaggi dell’economia digitale.


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