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Giovanni Falcone raccontato da Giuseppe Ayala

GIOVANNI FALCONE

“Giovanni Falcone è stato l’uomo più importante della mia vita”. È con queste parole che l’ex magistrato Giuseppe Ayala ricorda il giudice Falcone a 25 anni dal suo omicidio. L’occasione è la presentazione del libro “Giovanni Falcone. Le idee restano” (ed San Paolo), scritto da Maria Falcone e Monica Mondo e presentato dall’Associazione Giovane Europa con il Presidente Angelo Chiorazzo, nello splendido salone dell’Istituto Don Sturzo.

“Giovanni Falcone era un uomo che non voleva diventare un eroe. Non voleva morire. Era un amante della vita, dell’arte, della poesia e della musica”, ricorda la sorella Maria Falcone. “Ma la morte l’ha consacrato e l’ha trasformato in un eroe. Del resto si diventa eroi se si ha la consapevolezza, come ce l’avevano Giovanni e Paolo Borsellino, che il proprio destino è la morte”. Maria Falcone fa un ritratto quasi familiare del fratello ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992. “Con Giovanni abbiamo trascorso 10 anni difficili a Palermo”, continua la presidente della Fondazione Falcone – “Dopo le rivelazioni di Buscetta tutti noi della famiglia temevamo vendette trasversali. Lo stesso collaboratore di giustizia ‘predisse’ a mio fratello la sua morte prima di iniziare il percorso del maxi processo, ma lui aveva fiducia nell’attività dei magistrati che sarebbero venuti dopo di lui”.

Il libro si fa ispirare, nel titolo, proprio dalle parole di Falcone. “Nel corso di un’intervista al termine del maxi processo – ricorda Maria Falcone – Giovanni enunciò quello che sarà il suo testamento morale. ‘Gli uomini passano, le idee restano. Ognuno deve fare la sua parte piccola o grande che sia’. Una frase che non mi piace, perché mi fa capire la consapevolezza della morte che aveva mio fratello, ma è una frase di grande senso morale, specchio del grande senso del rispetto della Patria che l’ha accompagnato per tutta la vita”.

UNO SGUARDO ALLE ELEZIONI SICILIANE

Il senso della Patria ha portato Giovanni Falcone fino alle più estreme conseguenze, a sacrificare la sua stessa vita sull’altare del rispetto delle regole e del perseguimento della giustizia.  Eppure le ultime elezioni alla Regione Siciliana, al netto dei risultati, ci hanno restituito un quadro di diffuso disinteresse nei confronti della cosa pubblica, testimoniato dalla bassa affluenza alle urne. “Più 53% dei siciliani ha deciso di non votare” – ricorda Maria Falcone – “E questo è un grave errore, dei cittadini che hanno preferito non esercitare il proprio diritto di voto, ma anche della politica che non riesce a coinvolgere gli elettori”.

Particolarmente scoraggiante è stato il risultato del PD fermo al 13%. All’indomani del voto molte voci hanno individuato un colpevole nel Presidente del Senato Pietro Grasso che, diversi mesi fa, aveva rifiutato l’investitura del PD per la corsa siciliana. “Grasso è un mio collega e un mio grande amico, noi abbiamo fatto il ‘Maxi Processo’ insieme, io da pubblico ministero, lui da giudice a latere”, dice a Formiche.net il giudice Ayala. “Pare che se Grasso avesse accettato la candidatura sarebbe cambiato tutto. Io sinceramente ho qualche riserva su questo ma non certo per il valore di Pietro Grasso. Penso che sia stata un’infelice ricerca di una giustificazione per la sconfitta del centro sinistra in Sicilia. Diciamo che definire ‘poco elegante’ l’uscita del sottosegretario Davide Faraone, che ha messo in evidenza il coraggio di Micari nell’accettare la candidatura in contrasto con la scelta di Grasso, sia  il minimo. Quando si arriva a questo livello faccio fatica a commentare, diciamo ‘poco elegante’, ma si potrebbe dire di più”.

LE FALLE DELLA GIUSTIZIA ITALIANA

Dai primi anni ’80 fino ai primi anni ’90 la magistratura italiana ha vissuto un periodo di intensa attività e di vivacità che, dalle Procure più importanti, ha contagiato positivamente tutto lo stivale. “Se pensiamo all’attività del pool antimafia non c’è dubbio che quella sia stata un’esperienza molto particolare, una vera e propria forza propulsiva per la magistratura”, continua il giudice Ayala. “Guardando complessivamente il ruolo della magistratura in questo Paese io credo che grandi differenze tra ieri e oggi, salvo situazioni specifiche e particolari, non ve ne siano. L’unico grande problema irrisolto è l’estrema lentezza del sistema giudiziario. Questione che non si vuole riuscire a modificare ed è la grande palla al piede del funzionamento del sistema giustizia in Italia”.

La lotta alla mafia è un grande tema, eterno, che torna ciclicamente ad ogni campagna elettorale. Ma che questo sia in cima all’agenda del Governo e della magistratura è tutta un’altra storia. “Non so se sia in cima all’agenda del Governo, in fondo certamente no. Risposta molto ‘democristiana’, lo so”, prosegue l’ex magistrato. “Non c’è dubbio che dalla fine degli anni ’80 in poi, la risposta giudiziaria nei confronti del fenomeno mafioso è stata molto più incisiva rispetto al passato. Anche se non era molto difficile dato che finché non siamo arrivati noi era in una situazione quasi fallimentare. Sono sicuro che ci sia l’impegno di molti colleghi più giovani di noi e che hanno preso il nostro posto per contrastare il fenomeno. Per quanto riguarda il Governo Non mi sento di dire che sia in cima alle sue preoccupazioni ma non mi sembra che ci sia una situazione paragonabile a certi periodi della Prima Repubblica quando l’obiettivo era contrastare chi combatteva la mafia sul serio. Siamo lontani, da quel periodo siamo lontani. Lo dico con assoluta consapevolezza”.

NON SOLO REPRESSIONE

La mafia, però, non si contrasta solo nelle aule del tribunale ma è indispensabile uno smantellamento della “cultura” della mafia. “Non dobbiamo guardare solo all’aspetto repressivo del fenomeno mafioso, quello è affidato ai magistrati”, prosegue Ayala. “Noi dobbiamo guardare all’aspetto preventivo che può avere, ad esempio, la scuola nell’aiutare i ragazzi a maturare una coscienza antimafiosa perché, specialmente nelle Regioni del sud, ma purtroppo il fenomeno si è allargato anche nel resto d’Italia, spesso c’è una sottovalutazione del problema e spesso non si comprende quanto possa essere pericoloso consentire l’infiltrazione mafiosa”.



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