La sostenibilità non è più una scelta, ma una necessità. La moda, sempre prima a captare quei segnali di nuove sensibilità deve cercare di interpretare anche altri valori, che vanno nella direzione della responsabilità sociale. Questo significa un cambiamento radicale nel modello economico di una tra le più grandi (e più inquinanti) industrie globali. Un cambiamento che coinvolge la chimica, il tessile, il mondo delle tecnologie e della logistica, la distribuzione e il terziario. E in questo scenario la filiera tessile italiana è in grado di dimostrare che si può ridurre l’impatto ambientale delle produzioni senza rinunciare a realizzare articoli di qualità e tendenza.
Dopo la Eco Fashion Week (che ha debuttato nel 2009 a Vancouver)e l’Ethical Fashion Show di Berlino arriva Roma (fino al 9 novembre) la Green Fashion Week. L’evento (giunto alla sesta edizione dopo Los Angeles, Abu-Dhabi Milano e Dubai), organizzato dalla GD Major di Guido Dolci e patrocinato dal ministero dell’Ambiente, è pensato per sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere il cammino che l’industria del fashion dovrà seguire per raggiungere gli obiettivi sottoscritti dai 193 Paesi Membri dell’Onu con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Tra le location del Colosseo, del Tempio di Adriano e dei Fori Imperiali tanti gli appuntamenti con stilisti internazionali che intendono allargare gli orizzonti del concetto “green” attraverso le loro collezioni, realizzate con materiali e processi produttivi sostenibili da un punto di vista sia ambientale che etico.
Come la designer Flavia La Rocca, fondatrice del brand che porta il suo nome: l’intero processo di creazione dei capi è realizzato in Italia e questo permette di diminuire l’emissione di CO2 legata al trasporto dei materiali. Ma sono il Cardato Regenerated e l’uso di poliestere Newlife, un processo che trasforma le bottiglie di plastica in filato, a fare la differenza. «La lana prodotta tramite cardatura – spiega Flavia La Rocca – è formata da fibre vergini oppure ottenute tramite il riutilizzo di tessuti e ritagli di maglieria, sia nuovi che usati». Questa tecnica e la conversione del poliestere permettono di risparmiare circa il 60% di energia, ridurre del 32% l’emissione di CO2 e non sprecare il 94% di risorse idriche. Strettamente collegato al tema della sostenibilità è anche il principio dei capi modulari, segno distintivo del brand della designer romana. Indumenti intercambiabili che possono essere abbinati o indossati separatamente in modo da allungare il ciclo di vita del prodotto. Kristina Burja, stilista del marchio croato Krie’ presenta invece nella cornice dei Fori Imperiali una collezione versatile, dove i protagonisti assoluti sono il cotone e la seta organica. Ma la sua priorità non sono solo i materiali, ma anche il benessere dei suoi dipendenti che devono poter lavorare in un ambiente mirato allo sviluppo, assicurando un equilibrio stabile e duraturo.
Eco-sostenibile come un must irrinunciabile. Eppure non era così ancora solo un decennio fa, quando, la stilista inglese Stella McCartney impose regole precise nel design dei suoi prodotti affinché non includessero cuoio e pellicce, ma solo fibre alternative, nel pieno rispetto degli animali. All’epoca era un’eccezione, ma nel frattempo le cose sono cambiate, e soprattutto negli ultimi due o tre anni i segnali sono sempre più forti.
Giorgio Armani e Gucci, hanno da poco detto addio alle pellicce animali mentre Burberry ha deciso di puntare sul riciclo: donerà 120 tonnellate di pellame alla Elvis & Kresse, specializzata nella trasformazione degli scarti di pelle in articoli di lusso.I proventi verranno destinati ad associazioni di beneficenza che operano nelle energie rinnovabili.
La scelta non è solo delle griffe del lusso, ma anche delle marche più accessibili. La stessa Greenpeace ha premiato nel 2016 Zara, H&M e Benetton come marchi all’avanguardia, per aver completamente eliminato le sostanze tossiche nei loro processi produttivi. Patagonia ha presentato le prime tute da sub realizzate senza il neoprene (materiale derivato dal petrolio e non rinnovabile), mentre Levi’s è da tempo impegnata nel contenimento dell’impiego di acqua nei finissaggi del denim.
Scelte responsabili che devono necessariamente ricadere a cascata sul singolo consumatore per garantire, non solo una moda, ma anche un futuro sostenibile.