Alla commissione d’inchiesta sulle banche finora almeno un merito va riconosciuto: quello di aver scoperchiato il vaso di Pandora di una vigilanza che si è dimostrata inefficace e talvolta addirittura reticente in situazioni delicate, trasformatesi poi in un tracollo per alcuni istituti. Lampante il caso di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, sulla cui sorte si è svolto in settimana a San Macuto un duello – a distanza – tra Banca d’Italia e Consob, con le audizioni dei rappresentanti Carmelo Barbagallo ed Angelo Apponi che sono diventate delle testimonianze. A pensarla così è Enrico Zanetti, deputato e leader di Scelta Civica e membro dell’organismo bicamerale, nonché ex viceministro dell’Economia nel governo Renzi. “Sulle venete la commissione ha messo in risalto aspetti importanti come l’inadeguatezza degli organi di controllo. La Consob o non ha fatto ispezioni o le ha fatte con i piedi visto che ha scoperto dopo parecchio tempo vecchie cose che Bankitalia aveva trovato nel 2001. A sua volta, via Nazionale nel 2001 ha individuato fatti rilevanti sulle modalità di dare valore alle azioni (con le operazioni ‘baciate’, ndr) e non le ha comunicate alla Consob né di propria iniziativa né in risposta alle richieste della Consob stessa in seguito all’aumento di capitale dal 2006 in avanti”.
Secondo Zanetti dunque “si determina un quadro di notevole responsabilità di Bankitalia che ha attuato un comportamento omissivo e reticente nel caso dell’aumento di capitale e di sicuro non proattivo in precedenza. A questi fatti, che sono ormai acclarati, si aggiunge un ulteriore profilo legato a una differenza significativa da parte di Palazzo Koch nell’attività ispettiva svolta su Veneto Banca e su Popolare di Vicenza, tema fortemente riconducibile alla questione delle ‘porte girevoli’. Tanto è vero che le ispezioni in Bpvi non hanno portato a nulla”. A differenza di quanto è accaduto invece in Veneto Banca.
Un’ulteriore questione da sottolineare, per il deputato di Scelta civica, è quella che riguarda le pressioni fatte dalla Banca d’Italia, stando a quanto affermato dagli ex vertici dei due istituti, perché Veneto Banca si aggregasse a Popolare di Vicenza. “Barbagallo in commissione ha negato qualsiasi forma di moral suasion ma la sua posizione non è credibile perché Via Nazionale in questi anni ha svolto un ruolo importante nel risiko bancario, talvolta anche dando buone indicazioni”.
Per finire il capitolo sulle venete, manca un “passaggio fondamentale”: ascoltare proprio gli ex vertici delle due banche: “Ho chiesto all’ufficio di presidenza di audire Gianni Zonin (ex presidente di Bpvi, ndr), Vincenzo Consoli (ex amministratore delegato di Vento Banca, ndr) e Pietro D’Aguì (ex manager della Banca Intermobiliare, controllata da Veneto Banca, ndr). La mia proposta finora è stata sostenuta dal capogruppo del Pd in commissione Matteo Orfini (e dal vicepresidente in quota democrat Mauro Maria Marino, che però ritiene in tal caso di secretare le audizioni, ndr), da quello del M5S Carlo Sibilia. Si oppone invece il presidente Pierferdinando Casini mentre il vicepresidente Renato Brunetta propone di rimandarla. Credo che sia utile ascoltarli non perché queste persone siano oracoli ma per avere un quadro più completo. E non è vero che chi è sotto indagine non può essere ascoltato. Fabrizio Viola (attualmente commissario liquidatore di Bpvi e Veneto Banca, ndr) è venuto a parlare in commissione pure se indagato”.
Dalla prossima settimana sotto i riflettori dell’organismo bicamerale ci sarà Monte Paschi di Siena. Si comincia martedì con i sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Giordano Ernesto Baggio e Stefano Civardi. “Sicuramente anche in questo caso non mancheranno gli spunti – commenta Zanetti – ma resto convinto che la vicenda delle venete sia non più importante, Mps lo è per i numeri, ma più sintomatica di ciò che non ha funzionato, di una vigilanza fatta in modo strabico, di un sistema volto a usare pure la leva legislativa per cercare di coprire una serie di mancanze”.
In uno scenario del genere, già piuttosto complicato, si è poi inserita la riforma delle popolari, “giusta” secondo Zanetti “ma se all’epoca Bankitalia avesse reso le notizie sullo stato di salute degli istituti veneti si sarebbe agito diversamente. In questo via Nazionale ha delle responsabilità pazzesche visto che non ha mai dato al governo informazioni che indicavano chiaramente che Bpvi e Veneto Banca erano vicine al tracollo. Fare questa riforma a inizio anni 2000 avrebbe evitato le gestioni padronali e certamente se fra 2000 e 2008 le banche fossero state già delle spa sarebbe stato meglio. Detto questo, se ci fosse stato il quadro informativo che c’è ora si sarebbe aspettato: prima si sarebbe messo in sicurezza il sistema e poi si sarebbe passati alla riforma. Non puoi chiedere la trasformazione in spa e la quotazione in Borsa a banche che non stanno in piedi. Anche questa è una colpa gravissima di Bankitalia – rincara Zanetti -. Da viceministro quale ero allora posso assicurare che tali informazioni non erano arrivate al governo e che il ministro Padoan non ne era a conoscenza”.
Tornando ai lavori della commissione il ruolino di marcia prevede, dopo Montepaschi, di puntare i riflettori su Cariferrara, Carichieti, Banca Marche e soprattutto Banca Etruria. Si riuscirà nell’intento? “I tempi sono stretti, al Quirinale l’idea di andare a votare a maggio non dispiace ma ha paura che la commissione lavori altri due mesi – sostiene il parlamentare -. Del resto, dico una cosa nota: la posizione del Colle di forte sostegno e di conferma per il governatore Visco è stata fatta trapelare con grande trasparenza. Realisticamente affrontare anche il capitolo Etruria non è semplice se andiamo a votare a marzo, rimarrebbe poco più di un mese di lavoro per la commissione prima dello scioglimento delle Camere”.