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Perché i bilanci Inps sono inestricabili

Di Michele Poerio, Carlo Sizia e Stefano Biasioli
Boeri

Ci chiediamo come mai il presidente dell’Inps Tito Boeri non si occupi degli “incasinati” bilanci del suo istituto invece di continuare ad attaccare i “pensionati d’oro a 2- 3.000 euro lordi mensili” dichiarando che (ultima sua esternazione) “… in Italia bisogna pensare di più ai bambini ed alle famiglie con bambini piuttosto che agli over 65 che sono stati meno colpiti dalla crisi …”.

Noi, molto sommessamente, gli ricordiamo che gli over 65, secondo uno studio del Censis, rappresentano attualmente il più importante ammortizzatore sociale nei confronti di quella torma di figli e nipoti disoccupati o sottoccupati con una spesa di oltre 6 miliardi annui.

Ma ritorniamo al tema del nostro intervento di cui il bocconiano dovrebbe sommamente occuparsi.

Oggi il debito netto dell’Inps nei confronti del bilancio dello Stato, cioè la differenza tra partite debitorie e creditorie, supera i 100 miliardi di euro. Da cosa deriva questa grossolana anomalia?

Dal fatto che sono disattese le regole che soprassiedono alla correttezza formale dei bilanci e della contabilità amministrativa. Infatti la normativa vigente (legge 88/1989) stabilisce che, in ragione del principio dell’equilibrio delle gestioni previdenziali dell’Inps, il bilancio dello Stato non possa coprire, con trasferimenti a carico della fiscalità generale, la differenza tra uscite per prestazioni della previdenza ed entrate contributive.

Al contrario, trasferimenti a titolo definitivo dal bilancio dello Stato sono possibili al fine di ripianare i disavanzi della gestione assistenziale Inps.

Secondo il vecchio adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”, i responsabili-irresponsabili della nostra “cosa pubblica” sono subito ricorsi alla finzione contabile secondo cui le anticipazioni della Tesoreria statale (cioè il contributo della fiscalità generale) nei confronti dell’Inps per garantire il pagamento delle prestazioni erogate debbano essere intesi come “trasferimenti definitivi a titolo di finanziamento delle prestazioni assistenziali”, in ragione del criterio convenzionale (ed ingannevole) adottato, secondo cui viene definita “assistenza” una quota parte di ciascuna mensilità di pensione erogata.

La quota parte anzidetta, definita forfettariamente in 16.504 miliardi di lire nel 1988, mediante rivalutazione annuale e dopo la confluenza dell’Inpdap nell’Inps, veleggia oggi verso i 40 miliardi di euro/anno.

Anche la istituzione, nel 1989, della Gias (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), già nell’ambiguità della titolazione, non ha chiarito il perverso intreccio tra assistenza e previdenza che c’è ancor oggi nell’Inps perché, accanto ad alcune prestazioni proprie incluse nella Gias (pensioni sociali, prepensionamenti, integrazioni al minimo dell’assegno ordinario di invalidità, oneri derivanti da agevolazioni contributive, sostegno alle disabilità, alla cassa integrazione, alla mobilità, ecc.), ce ne sono alcune che hanno invece chiara natura previdenziale, volte cioè a puntellare gestioni previdenziali carenti di adeguate contribuzioni, tanto passate quanto recenti.

E così nelle gestioni previdenziali Inps c’è (convenzionalmente, ma impropriamente) una parte di assistenza, mentre nelle gestioni assistenziali c’è una parte di previdenza, in modo da realizzare un perfetto “circolo vizioso”.

Oggi, purtroppo, c’è una maggioranza di gestioni previdenziali in disavanzo, ma se si interviene a coprire lo sbilancio tramite trasferimenti a titolo di anticipazione (anziché con trasferimenti a fondo perduto), l’Inps deve iscrivere tali risorse (di fatto: prestiti) in bilancio come debiti da restituire in futuro.

E tuttavia l’Inps può rimborsare solo le anticipazioni finalizzate a colmare semplici disallineamenti temporali tra entrate ed uscite, a loro volta causati da tardiva o mancata riscossione di contributi o trasferimenti.

Peraltro che i debiti cumulati dall’Inps non siano rimborsabili è dimostrato anche dalla mancata iscrizione, nel conto del patrimonio dello Stato, di un credito verso l’Inps, che di fatto risulterebbe inesigibile.

Ecco quindi la necessità periodica dello Stato di ripianare i debiti Inps susseguenti ad anticipazioni della Tesoreria: è già avvenuto per il periodo antecedente al 31/12/1995 con 121.630 miliardi di vecchie lire, ancora con circa 40mila miliardi di lire per il periodo 1996-1999, e poi ancora con 25,2 miliardi di euro a fine 2011 per ripianare le anticipazioni effettuate a vantaggio dell’Inpdap prima della confluenza nell’Inps, e certamente dovrà nuovamente intervenire per “mettere una pezza” rispetto ad una modalità di fare i bilanci che è francamente assurda.

Queste sono le principali conseguenze dei disordini e delle irregolarità prima evidenziate, peraltro chiaramente emersi nel Flash n. 6 del 3 agosto 2017 ad opera dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, da cui sono tratti dati e stime qui riportati, e cioè:

  • che i capitoli  di  spesa per gli interventi socio-assistenziali sono grossolanamente sotto dotati rispetto ai costi effettivi dei diritti soggettivi riconosciuti ai beneficiari;
  • che l’adeguamento, progressivo e crescente, del capitolo delle anticipazioni, formalmente destinate alle gestioni previdenziali, hanno finito in larga parte per finanziare lo sbilanciamento delle gestioni assistenziali;
  • che il “disavanzo previdenziale” dell’Inps (in realtà “disavanzo assistenziale”) è servito e serve da alibi (come dimostrato dai lavori e dai dati del professor Alberto Brambilla) per sottrarre diritti previdenziali (de-indicizzazione delle pensioni, contributi di solidarietà, ecc.) a chi ha correttamente lavorato ed adeguatamente contribuito;
  • che dirottare risorse dalla previdenza all’assistenza significa sottrarre ad alcuni soltanto, o comunque a pochi, diritti consolidati, mentre gli interventi assistenziali, o socio-assistenziali, vanno posti a carico di tutti attraverso la fiscalità generale e secondo i principi costituzionali della universalità e progressività del prelievo, metodi ineludibili quando si voglia di fatto operare una ridistribuzione dei redditi di ciascuno;
  • che i responsabili primi e veri dei disordini contabili dell’Inps sono gli esponenti delle forze politiche del nostro Paese, che perseguono l’attuale opacità nei bilanci per poter intervenire liberamente e con discrezionalità politica, al limite dell’abuso, a favore di categorie, clan, lobby, anche a costo di calpestare diritti di singoli individui o di intere categorie, sempre alla ricerca e nella speranza di poter “comprare voti” utilizzando risorse altrui, anziché meritare il consenso con la correttezza e la lungimiranza del loro agire politico.

Stupisce ed amareggia, tuttavia, vedere come in tanto disordine contabile tra previdenza ed assistenza, entrambe affidate ad un unico Ente gestore (Inps), l’Ufficio parlamentare di Bilancio, la Corte dei Conti, il ministro dell’Economia, il presidente del Consiglio dei ministri, la Tesoreria centrale dello Stato, lo stesso Cnel, si limitino a tenui rilievi.

Meglio non commentare il ruolo, oggi, della Consulta (che peraltro appare essa stessa confusa sui principi e valori della Costituzione vigente), ovvero i silenzi del presidente Inps, forse troppo impegnato nella veste impropria di “novello Robin Hood”, che vorrebbe togliere ai presunti ricchi per dare ai presunti poveri, peraltro con insindacabile autorità di giudizio.

Michele Poerio, Segretario Generale Confedir e Presidente Nazionale Federspev

Carlo Sizia, Comitato Direttivo Nazionale Federspev

Stefano Biasioli, Comitato Direttivo Nazionale Federspev e Past President Confedir


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