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Tutti i potenziali impatti dei subbugli tedeschi sull’Italia

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Sembra che Angela Merkel stia gettando la spugna. Dopo settimane di estenuanti trattative, pare stia per proporre una nuova tornata elettorale. I negoziati hanno mostrato le crescenti divergenze tra i liberali ed i verdi che Angela Merkel sperava di attenuare. Hanno fatto soprattutto risultare le differenze tra i cristiano sociali prevalentemente della Baviera e i cristiano democratici dei Lânder settentrionali delle Confederazioni.

I quotidiani sottolineano gli errori fatti dalla Cancelliera nella ultima parte della legislatura: apertura ai rifugiati (senza un vero programma), il fallimento in materia di politica energetica, le concessioni alla lobby dell’auto elettrica, gli sbagli sulla Brexit, l’appoggio a Obama. Molti italiani concludono sornioni: fatti loro!

I cari colleghi cadono in trappola. Una chiamata alle urne in Germania federale sono soprattutto fatti nostri. Lo sono perché, dopo la Grecia, siamo il Paese più debole dell’Unione europea (in termini di debito e finanza pubblica) e quello da cui scapperà la finanza straniera e anche tutta la finanza italiana che potrà trovare una via d’uscita per ricollocarsi (o lecitamente o illecitamente) all’estero, se possibile fuori dall’Europa.

Ne ho parlato con amici americani in ruoli dirigenziali in finanziarie come Black Rock e Templeton. L’analisi è cruda e semplice; in un’Europa che ha appena avuto il brutto colpo della Brexit, in cui la “questione catalana” resterà irrisolta a lungo, in cui in Repubblica Ceca, in Polonia ed in alcuni Lânder settentrionali della Germania tornano i revanscismi (ove non peggio), la Repubblica Federale Tedesca è stata per anni il pilastro di stabilità. Se anche questo pilastro traballa, i suoi effetti si sentiranno in tutto il continente, specialmente nella monca “unione monetaria”. La Germania di oggi è, nel contesto europeo, molto simile a quella di quando era Cancelliere Otto von Bismarck: un suo starnuto causa la polmonite al resto d’Europa, ma da sola non ha la forza e la capacità di risolvere tutti i nodi europei.

L’Italia è, sotto il profilo finanziario ed economico, il Paese più cagionevole. Il nostro debito pubblico sta per approssimare quello della Gran Bretagna al termine della Seconda guerra mondiale ma non c’è né la sterling dollar diplomacy (che creò il sistema di Bretton Woods) né il Piano Marshall a risolverlo. Sino ad ora è stato in gran misura il Quantitative Easing della Banca centrale europea (Bce) a riempire la scritture contabili della Bce medesima, ma se la Germania entra in campagna elettorale i candidati dei differenti schieramenti si mostreranno meno solidali nei confronti di un Paese che si è dato un sistema elettorale che porta a lite continue ed alla ingovernabilità.

Avremmo dovuto raggiungere, secondo impegni sottoscritti e trasformati in legge costituzionale rinforzata, il pareggio strutturale di bilancio nel 2014; ne siamo lontani. Le principali forze politiche, dato che le elezioni legislative sono imminenti anche da noi, non hanno esplicitato come vorranno affrontare i problemi immediati (la possibile, ove non probabile, crisi finanziaria della prossima primavera-estate) e quelli di medio e lungo periodo (soprattutto, la produttività multifattoriale). È normale che i detentori di titoli nel nostro debito, pensino a sbarazzarsene. E non certo per sostituirli con quelli di banche italiane.

Siamo riusciti a barcamenarci (pur se non molto bene) perché il pilastro tedesco teneva insieme il resto d’Europa. Ora si sta profilando uno scenario ben diverso.


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