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Sachs, Turkson e Zamagni parlano di sviluppo sostenibile alla Pontificia Università Gregoriana

Il concetto di sviluppo “ha molti significati, interpretazioni e punti di vista diversi”, ha detto il prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il cardinale Peter Turkson (nella foto), in occasione del convegno tenutosi venerdì 24 novembre alla Pontificia Università Gregoriana a Roma, sul tema dello “Sviluppo umano integrale: sfide alla sostenibilità e alla democrazia”. Alcuni però non tengono conto delle sue radici antropologiche, e delle sfide che questo comporta, ha aggiunto. Se infatti la Chiesa oggi parla di sviluppo umano integrale, le Nazioni Unite, e in particolare con gli obiettivi posti dall’Agenda 2030, si focalizzano invece sulla definizione di sviluppo sostenibile. Ma qual è la differenza tra le due?

IL CONVEGNO ALLA GREGORIANA

“Nei sistemi moderni si riteneva che lo sviluppo fosse soltanto un qualcosa di fisico, da valutare in base al Pil, e alla capacità di sfruttare e utilizzare le risorse della terra. Di questo ne vediamo le conseguenze devastanti”, ha spiegato Turkson. Aggiungendo che nella Chiesa invece, dagli anni ’70, cioè dal Concilio Vaticano II, si è elaborata una idea diversa di sviluppo, cominciata con l’enciclica di Paolo VI Mater et Magister, in cui Montini esprimeva una concezione comune del bene. “Giovanni XXIII poi disse che l’educazione cristiana deve essere integrale, estendersi a una serie di doveri e generare nei fedeli il senso dello svolgimento dei doveri sociali in modo cristiano”, ha continuato il proporato ghanese.

“Con Gaudium et Spes si è continuato questo pensiero, e si è descritto il contesto attorno cui la Chiesa dava adito ai suoi grandi cambiamenti”. Per Giovanni Paolo II, poi, “lo sviluppo non si può vedere solo nella crescita economia”, e così “ne affermò una visione più variegata, in particolare nella Sollicitudo Rei Socialis. In quel periodo le Nazioni Unite prepararono un primo rapporto sul destino sociale mondiale, dando vita al concetto di sviluppo sostenibile. Ma è stato il Concilio Vaticano II che le ha spinte a pensare allo sviluppo, e le ha precedute di circa vent’anni”.

L’INTERVENTO DEL CARDINALE TURKSON

Benedetto XVI in seguito ha proseguito il dibattito all’interno delle categorie di amore e verità, cioè in Caritas in Veritate. “Sviluppò il tema sulla base di una profonda antropologia cristiana, sul senso e sul significato cioè della persona umana. Che anche se caduto viene redento dalla Grazia. Qualcosa che porta cioè a riconoscere la presenza della grazia di Dio nella vita degli uomini”, ha continuato Turkson. Infine è arrivato Francesco, che “ha spiegato come la nostra fede in Cristo rappresenti la base dello sviluppo integrale dell’umanità. Nella Laudato Sì si parla del paradigma tecnocratico dominante in molte sfere della vita umana, e si spiega che i prodotti tecnologici non sono neutri, in quanto portano a un contesto che condiziona le vite e le azioni degli esseri umani, sulla base delle volontà di chi detiene sfere di potere”.

In risposta a una “filosofia riduttiva”, cioè, Francesco elabora il concetto di ecologia integrale. “La prima sfida è il dialogo nella governance globale”. Un modello di sviluppo integrale infatti, ha concluso il cardinale, “non può essere imposto ma soltanto proposto. Quindi abbiamo bisogno della partecipazione di tutti, per opporci alla violenza, all’esclusione sociale, e al fatto che quando c’è dialogo siamo costretti ad andare oltre noi stessi. Nel dialogo l’altro non è un nemico ma un partner e un vicino. A volte questo è difficile, soprattutto quando non si limita ai negoziati superficiali. Ma è attraverso questo che noi portiamo avanti l’idea dello sviluppo integrale dell’umanità”.

LA NOZIONE DI SVILUPPO PER IL PROF. ZAMAGNI

“La parola sviluppo è una di quelle più inflazionate ed equivocate”, ha poi aggiunto durante la sua relazione il professore Stefano Zamagni, economista dell’università di Bologna, figura nota del mondo cattolico, uno dei riscopritori in Italia dell’economia civile. “In senso etimologico indica liberare dai lacci, dagli inviluppi, ed è quindi legato a doppio filo al concetto di libertà. Chi non ama la libertà non parla di sviluppo ma di altri termini, equivocati”, ha così spiegato. Nelle scienze naturali il termine sviluppo è infatti sinonimo della crescita di un organismo, mentre nelle scienze sociali rinvia al passaggio da una condizione all’altra, chiamando in causa la nozione di cambiamento. “Qui c’è un riferimento implicito a un giudizio di valore, in quanto si può cambiare in meglio ma anche in peggio”, ha precisato il docente.

Sono infatti tre le dimensioni fondamentali a cui fare riferimento: la crescita, misurabile col Pil. La dimensione socio-relazionale, “in quanto ognuno ha un bisogno costitutivo dell’altro per riconoscere sé stesso”. E la terza infine è la dimensione spirituale, il fatto che ci sono aspetti umani che non possono essere ridotti alla materialità. “Tutto il pensiero economico ci fa credere che basta soddisfare i bisogni materiali, di cui il primo è la fame, per risolvere i problemi. Ma non è così. Pensiamo ai beni relazionali, che fanno parte delle esigenze primarie della nostra vita, perché possa fiorire”.

“FRANCESCO HA CAPITO L’ECONOMIA PRIMA DI TANTI ALTRI”

Queste tre dimensioni principali, ha proseguito Zamagni, sono in relazione tra loro in una dimensione moltiplicativa, e sono congiunte. “Non è accettabile la logica del trade off, del sacrificare una dimensione per accettarne un’altra, fatto che avviene costantemente nelle nostre società, massimizzando il Pil e chiudendo un occhio sulle altre dimensioni. Vivere oggi un’economia basata sulla tesi della separazione dominante, nella cosiddetta logica dei due tempi, è come trasportare acqua in un secchio bucato”. L’aumento delle diseguaglianze poi, secondo Zamagni, è pericoloso perché crea due conseguenze: innanzitutto la perdita della pace, “testimoniata dalle quaranta guerre cosiddette civili nel mondo, tutte legate all’aumento endemico delle diseguaglianze”. E che “perciò se si vuole la pace si devono combattere le diseguaglianze”.

E poi la crisi della democrazia: “se ci sono troppe diseguaglianze il principio democratico non può funzionare”, perché “tutti devono essere messi in grado di partecipare al processo democratico”. L’economia delle ‘due fasi’ invece, dove si considera solo la prima dimensione tralasciando le altre per considerarle solo in un secondo momento, “ci ha portato a questa trickle down economy, all’effetto di sgocciolamento. Papa Francesco lo ha capito molto più di tanti economisti”. Un altro scoglio elencato da Zamagni è “l’atomismo della società, la subcultura dell’individualismo libertario”, che “nei giovani è diventato il nuovo dogma”, in cui “uno è ciò che vuole” e “la società deve piegarsi alle volontà del singolo”, e “deve anche fornire le condizioni per farlo. Ma è ciò che impedisce il soddisfacimento dei bisogni relazionali, come l’amicizia”.

LA ROTTURA DEL LEGAME TRA CAPITALISMO E DEMOCRAZIA

Infine, l’ultima implicazione è la rottura del legame tra capitalismo e democrazia, “ancora non ben compreso: l’economia di mercato capitalistico è sempre stata vista come bilanciata dalla democrazia, tramite il welfare state. Ma la novità di questi tempi è che si è rotto questo legame: si può essere capitalistici senza essere democratici”. Basta pensare alla Cina: “è capitalista ma non c’è democrazia. Ci sono molti paesi che crescono molto ma non hanno la democrazia, e se questo non viene corretto si avranno conseguenze significative. Il pontefice lo ha capito: il rischio è che coloro che hanno a cuore solo la crescita finiscano per volersi liberare della democrazia”.

Negli Stati Uniti, oggi, ha commentato il professore, la maggioranza dei cittadini dice che di fronte alla scelta tra più crescita e più democrazia, preferisce la prima. “La responsabilità individuale delle proprie azioni, di cui parlano i teologi morali, non basta più”, ha concluso Zamagni. “C’è la responsabilità diaforica, oggettiva, incorporata nelle istituzioni politiche ed economiche”. Cioè “nelle regole del gioco”, di cui “ce ne sono di malefiche. Lo ha detto bene Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis, quando parlava di strutture di peccato. Dobbiamo intervenire in quelle, perché è inutile che siamo bravi individualmente, se non eliminiamo quelle strutture continueremo a fare del male. E il pensiero della Chiesa si sta muovendo esattamente in questa direzione: individuare i punti che incorporano queste strutture di peccato”.

IL MESSAGGIO DI JEFFREY SACHS

L’ultimo intervento, della prima giornata del convegno, è in video conferenza, e a parlare è l’economista statunitense Jeffrey Sachs, docente della Columbia University, studioso raffigurato come di inclinazione neomalthusiana e figura vista dalle cronache come molto vicino a Papa Bergoglio, tanto da descriverlo come ispiratore di alcuni punti dell’enciclica Laudato Sì. Già nel 2015 Il Foglio ha raccontato come “dietro l’enciclica ecologica del Papa c’è Jeff Sachs“.

“Dobbiamo avere una visione olistica del processo di sviluppo, non è sufficiente avere un aumento del reddito se è distribuito in modo diseguale,  e non è assolutamente sufficiente avere industrializzazione e sviluppo economico se distrugge l’ambiente”, ha così affermato in videoconferenza Sachs. “L’economia di mercato da sola riesce abbastanza bene a promuovere lo sviluppo economico a creare gli incentivi per generare utili, ed è capace di fare nascere diverse attività tra persone, ma non riesce a creare equità, giustizia o a garantire la sostenibilità ambientale. È per questo che l’insegnamento sociale della Chiesa, da 150anni a questa parte, da Rerum Novarum in poi, ce lo dice”.

L’AGENDA 2030 E LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Così l’economista ha cominciato a citare tutti “i grandi insegnamenti sociali: Rerum Novarum, Populorium Progressio, Centisimus Annus”,  e il fatto che “si collocano tutti all’interno di questo contesto”, e che “ci dicono che una economia di mercato va bene ma ci vuole anche un quadro etico e morale”. Da lì è entrato nel merito dell’Agenda 2030, con l’accordo siglato il 25 settembre 2015. “Quel giorno è cominciato con l’appello di Francesco, dopodiché è stato adottato il trattato con i 17 obiettivi di sviluppo”.

Punti come eliminare la povertà estrema, l’accesso ai servizi sanitari, l’istruzione minima a livello secondario per ogni bambino, un lavoro dignitoso per tutti e quindi la lotta a fenomeni come la tratta dei migranti, il contrasto al cambiamento globale climatico, la salvaguardia degli oceani e delle biodiversità. “Tutti questi obiettivi sono completamente allineati con la Laudato Sì e producono un programma realistico e audace”, ha concluso Sachs. “Il punto centrale però è che non si attueranno da soli, ma servono politiche pubbliche che ci facciano muovere in quella direzione. Dobbiamo attuare piano di lavoro seri, e influenzare il modo in cui l’economia mondiale opera affinché sia più equa. Abbiamo una Dottrina sociale della Chiesa che ce lo dice”.

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