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Come sta cambiando il cattolicesimo (e il Padre Nostro) in Francia

Se passeggiando per le strade della Francia, o entrando nelle cattedrali, nelle basiliche o nelle parrocchie del Paese, si domanderà a un fedele o a un cittadino se conosce la formula corretta della più antica e fondamentale preghiera cattolica, il Padre Nostro, questo risponderà probabilmente di sì, con un senso di ovvietà e di certezza. Eppure, a partire dai prossimi giorni, dovrà ricredersi: da questa domenica infatti, nella chiese francesi, nel recitare il Padre Nostro la dicitura corretta alla fine dell’orazione non sarà più “non mi indurre in tentazione”, ma “non lasciarmi entrare in tentazione”.

UN CAMBIO DI LITURGIA CHE FA DISCUTERE

Un cambio di cui oltralpe si discute, peraltro, da anni, riporta La Stampa. Interpretazione teologica o cancellazione del verbo “sottomettere”, fatta in primo luogo per prendere le distanza dall’islam, come provocatoriamente avanzato in una popolare trasmissione radiofonica dal filosofo Raphael Enthoven? Visto che in francese l’equivalente del “non ci indurre in tentazione” italiano è “ne nous soumets pas à la tentation”, con quel termine – “sottomettere”, che, uno su tutti, richiama il noto romanzo di Houellebecq – così al centro delle discussioni, in una nazione che vive il terrore fondamentalista e che da tempo si pone un’ampia e aspra riflessione sulle proprie sorti culturali e spirituali. E che farà sì che la dicitura verrà modificata in “ne nous laisse pas entrer en tentation”.

LA VICENDA DELLA STATUA DI GIOVANNI PAOLO II

Per farsi un’idea del contesto basta pensare infatti alla triste vicenda della croce rimossa dalla statua di Wojtyla, per decisione del consiglio di Stato francese, che ha suscitato un’accesa protesta da parte dei vescovi e dei cittadini polacchi, e la cui premier Beata Szydlo ne ha chiesto il trasferimento all’interno dei propri confini. Assurdità, della decisione presa dall’organo del governo francese, messa in luce su Avvenire da don Maurizio Patriciello, che ha fatto notare ai vicini d’oltralpe che “senza quella croce Giovanni Paolo II non si può capire”.

FATTORE FISIOLOGICO? L’ESEMPIO ITALIANO

Tuttavia, di fatto, secondo alcuni esperti, per quanto riguarda la vicenda del Padre Nostro si tratta di un fattore fisiologico della traduzione delle Sacre Scritture, e di quella che è una preghiera pronunciata in origine in aramaico e tramandata fino a noi in greco. E che quindi chissà quante altre modifiche avrà già ricevuto nel corso della storia, è l’idea sottintesa. Infatti la stessa questione vale anche per la traduzione italiana della Bibbia fatta dalla Cei nel 2008, dove anche in essa sono previste alcune lievi differenze sul Padre Nostro, nonostante per la liturgia delle chiese italiane si sia scelto di mantenere la formulazione tradizionale in uso da cinquant’anni a questa parte.

EFFETTI O CONSEGUENZE DEL MOTU PROPRIO DEL PAPA?

Primi effetti, perciò, del motu proprio Magnum Principium di Papa Francesco sulla liturgia? O che quest’ultimo sia invece una conseguenza di situazioni come quella francesi, messe cioè al centro dell’attenzione del Vaticano già in tempi non sospetti, antecedenti la codificazione di Francesco? Che in questo caso non avrebbe fatto altro che tirare le somme di problematiche che già esistono nella realtà, almeno nella discussione di alcuni episcopati particolari. D’altronde, il fattore immediatamente legato alla vicenda è più che altro quello della tenuta del cattolicesimo in Francia. Che a detta di alcuni esperti pare stia persino vivendo un momento di “riscoperta”, nonostante però i dati decisamente negativi, già ben noti da diversi anni.

LE CIFRE DELLA SECOLARIZZAZIONE FRANCESE

Cifre che descrivono l’avanzamento di una secolarizzazione aggressiva che ha portato, ad oggi, a una partecipazione dei cattolici alla vita della Chiesa addirittura sotto il 10 per cento, con solo il 5 per cento dei cittadini che frequenta la messa domenicale, all’interno peraltro solamente di un 50 per cento di europei battezzati. Rispetto a quest’andamento drasticamente negativo però, il primo segno in controtendenza riguarda i funerali religiosi, che “resistono ma fanno paura”, come scrive La Stampa riportando un’inchiesta del settimanale francese La Vie. Celebrazioni che nel 2013, stando ai dati del General Funeral Plans, sono state pari, in Francia, al 70 per cento del totale dei funerali, un dato nettamente superiore al numero dei praticanti. Sette volte tanto, cioè, la presenza dei cittadini francesi nel normale svolgimento della vita della Chiesa.

IL RISCHIO DI UNA RELIGIONE CHE NON INTERESSA LA VITA

Rilevazione di una realtà che porta però con sé un rischio: quello di dare una percezione della religione cattolica come legata solamente a riti ed eventi contingenti, come può essere nel caso particolare la morte e la celebrazione del funerale. Piuttosto che come un qualcosa di intimamente legato alla propria vita, che cioè appartiene all’esistenza terrena ed è utile, o persino necessario, per la realtà quotidiana delle persone, cattolici e non.

LE CONSEGUENZE SULLA VITA DELLA COMUNITÀ 

Una situazione cioè, ha spiegato sul quotidiano diretto da Maurizio Molinari un parroco francese, Gabriel Villemain, di Gacé (Orne), che “può portare alcune persone ad associare la Chiesa alla sola dimensione di commiato per la morte dei loro cari”, raccontando così di una gita con una scolastica in cui una ragazzina non ha voluto varcare la soglia del sagrato perché le ricordava il funerale di una persona a lei cara. In una scena che di certo pone domande. Ma che mette in luce una condizione che trascina con sé ripercussioni significative su tanti altri aspetti della vita della comunità: se la Chiesa è solo un luogo legato alla morte sarà anche più difficile recarvisi non solo per pregare, o per dare una casa alla propria dimensione spirituale, ma anche per celebrare matrimoni o battesimi. E ancora meno comunioni o cresime.

LA QUESTIONE POSTA DALL’EPISCOPATO FRANCESE

L’interrogativo, di conseguenza, ben se lo pongono i cattolici francesi, laici, preti o vescovi. Nell’ambito di un episcopato, peraltro, che dall’inizio del pontificato di Jorge Mario Bergoglio è stato rinnovato di un terzo: ventisette nuovi presuli, per la precisione. Ma di cui curiosamente, come scriveva alcune settimane fa Le Figaro, “se si fa un esame attento di questi profili” il risultato “è sorprendente”, in quanto “la maggioranza ha profili classici, più vicini a alla visione della Chiesa di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI, che a quella di Francesco”. Ovvero “più spirituale” e “meno sociale”, o meglio, più “marcati per una visione ortodossa della Chiesa cattolica, molto spirituale e meno impegnata sul piano sociale”.

COME CAMBIANO (INASPETTATAMENTE) I VESCOVI IN FRANCIA SOTTO FRANCESCO

Una generazione cioè “di preti sulla cinquantina”, che ha vissuto sotto i due predecessori dell’attuale pontefice e che arriva “oggi all’episcopato”. Come il cinquantunenne Pierre-Antoine Bozo, uno dei più giovani vescovi, incaricato a Limoges. O come padre Hervé Gosselin, cinquantanovenne neo eletto generale dei Focolari della carità, un insieme di settantacinque comunità presenti in quarantuno Paesi e fondati dalla mistica Marthe Robin. O infine il nuovo vescovo di La Rochelle e Saintes, Georges Colomb, sessantaquattro anni, prima missionario in Cina per dieci anni. E che fanno sì che la “Chiesa di Francia, spesso accusata di essere a sinistra o progressista”, sia “dunque in mutazione”.

IL CONTESTO DEL RICAMBIO GENERAZIONALE

Nomi che si inseriscono in un contesto in cui, ad esempio, all’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois (nella foto), sofferente di problemi di salute in quanto affetto dalla sindrome di Guillain-Barré, probabilmente non verrà chiesto di prolungare il proprio servizio. Avendo festeggiato 75 anni le scorse settimane, età in cui è obbligatorio dare le dimissioni – e non si è più solamente “pregati” di farlo, come deciso sempre da Bergoglio nel 2014 – ma che poi possono anche essere rifiutate dallo stesso pontefice in carica. “Diversi nomi circolano” sul successore del porporato, scrive Le Figaro, anche se “a Roma, dove tutto si decide, nulla è stato fissato”. Stessa cosa per altre importanti figure della Chiesa francese, come il presidente della conferenza episcopale Georges Pontier, che compierà 75 anni il prossimo marzo. Tutte vicende che lasciano “augurare un rinnovamento profondo delle guide dell’episcopato francese”, scrive il più antico quotidiano francese ancora alle stampe. “Ma che non devono nascondere un cambiamento già profondo dei vescovi francesi, e molto meno visibile”.

LE PAROLE DELLO STORICO ARMOGATHE

“Dopo la Gmg di Parigi del 1997 c’è stata una grande presa di coscienza dei credenti del proprio ruolo nella società”, ha così affermato padre Jean-Robert Armogathe, uno fra i più autorevoli storici e seicentisti francesi, direttore di “Communio” e curatore dellla “Histoire générale du christianisme”, edita dalla Puf in due volumi nel 2010. Che giovedì verrà premiato dall’Accademia di Francia, in riconoscimento dell’insieme della sua opera. E le cui parole, in cui viene descritta “una nuova primavera per i cattolici francesi”, sono state riportate ieri da Avvenire.

LA NUOVA COSCIENZA E IL PERICOLO DELL’INDIFFERENZA

Una nuova coscienza “dovuta certamente dovuta a Benedetto XVI e a Francesco”, ma la cui “difficoltà proviene dal fatto che la società non sembra ancora pronta ad accogliere questa sollecitazione, questo ritorno dei cattolici sulla scena sociale e politica”, ha spiegato Armogathe, sottolineando inoltre il bisogno di “legami più solidi con le altre istituzioni simili in Europa”, o quello “di accogliere più membri dal profilo non accademico”. Su molte questioni poi, come la difesa della vita, i limiti e i pericoli della scienza, i problemi d’ecologia, di solidarietà, e legati alla terza età o all’educazione, “la Chiesa aveva una generazione d’anticipo”, ha spiegato. Ricordando inoltre che la Chiesa è “per definizione esperta di globalizzazione”.  Ma “c’è una disparità fra il ritorno di una coscienza cattolica e l’indifferenza della società verso i cattolici”, ha aggiunto. E “l’indifferenza rischia d’essere per molti aspetti ancor più temibile e difficile da vincere”.



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