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Cosa pensa Papa Francesco dell’ambasciata Usa a Gerusalemme

Di L'Osservatore Romano

“Profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni” a Gerusalemme dopo l’annuncio del presidente Trump di trasferire l’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme, riconoscendo quest’ultima come capitale israeliana, è stata espressa dal Papa al termine dell’udienza generale di oggi mercoledì 6 dicembre. Nel richiamare la “vocazione speciale alla pace” della città, Francesco ha lanciato “un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo, in conformità con le pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”.

Ai fedeli presenti nell’Aula Paolo VI il pontefice ha ricordato che “Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i luoghi santi delle rispettive religioni”. Da qui la preghiera del Papa affinché “tale identità sia preservata e rafforzata a beneficio della Terra santa, del Medio oriente e del mondo intero e che prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti”.

Significativamente prima dell’udienza, Francesco ha ricevuto nell’auletta dell’Aula Paolo VI i partecipanti alla riunione tra il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e la corrispondente commissione dello Stato di Palestina, che si sono incontrati allo scopo di costituire un gruppo di lavoro permanente. “La Terra santa è per noi cristiani — ha detto salutandoli — la terra per eccellenza del dialogo tra Dio e l’umanità”. E la condizione primaria del dialogo, ha aggiunto, “è il rispetto reciproco e, nello stesso tempo, mirare a consolidare questo rispetto al fine di riconoscere a tutte le persone, ovunque si trovino, i loro diritti». Infatti, «dal dialogo scaturisce una maggiore conoscenza reciproca, una maggiore stima reciproca e una collaborazione per il conseguimento del bene comune e per una azione sinergica nei confronti delle persone bisognose, garantendo loro tutta l’assistenza necessaria”.

Raggiunta poi l’Aula, il Papa ha dedicato la catechesi al recente viaggio in Asia. “È stato un grande dono di Dio” ha esordito, ricordando che per la prima volta un successore di Pietro ha visitato il Myanmar e come ciò sia avvenuto poco dopo l’allacciamento delle relazioni diplomatiche tra questo paese e la Santa Sede. Quindi ha confidato che a Yangon lo ha particolarmente colpito “la seconda messa, dedicata ai giovani”, nei cui “volti pieni di gioia” ha potuto vedere il futuro del continente; “un futuro che sarà non di chi costruisce armi, ma di chi semina fraternità”.

Per quanto riguarda la seconda tappa, in Bangladesh, il Pontefice ha rivelato di considerare “l’ordinazione di sedici sacerdoti, uno degli eventi più significativi e gioiosi del viaggio”. Anche perché, ha fatto notare, nei “Paesi del sudest asiatico, grazie a Dio le vocazioni non mancano, segno di comunità vive, dove risuona la voce del Signore che chiama a seguirlo”.

Infine Francesco ha accennato al momento forte di dialogo interreligioso ed ecumenico vissuto a Dhaka, per sottolineare “l’apertura del cuore come base della cultura dell’incontro, dell’armonia e della pace”.


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