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Come Jean-Claude Juncker prova a ridisegnare le istituzioni europee

monaco

Mentre in numerosi Paesi dell’Unione europea (Ue) si sta andando verso elezioni che potranno mutare, anche drasticamente, i rapporti tra forze politiche, la Commissione Europea ha presentato un vasto programma di riforme delle istituzioni europee. È errato chiamarlo ‘un ballon d’essai’ come fa Adriana Cerretelli su Il Sole-24 Ore del 7 dicembre, ma una vera e propria proposta di modifica di alcuni punti centrali della ‘costituzione economica europea’. Secondo informazioni raccolte a Bruxelles, a Berlino e a Monaco di Baviera, un ruolo non secondario è stato giocato dal CESifo, l’importante centro studi economici con sede principale a Monaco, che da quindici anni collabora con la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Dato che si tratta di una riforma costituzionale, non è certo una nota sufficiente a commentarla.

In questo primo esame, mi limito a due punti:

a) Le tre principali innovazioni proposte dalla Commissione
b) La posizione dell’Italia

Una premessa. Le innovazioni-chiave hanno un sostrato comune evidente: far riacquistare alla Commissione il ruolo ‘politico’ e la centralità che aveva alla firma del Trattato di Roma. È una premessa ‘nostalgica’ che anche allora ebbe vita breve. Nel giugno 1965, la Francia bloccò quelle che considerava le pretese di un ‘gruppo di tecnocrati, irresponsabili e senza Patria non inviando più partecipanti alle sedute degli organi europei sino a quando si giunse al ‘compromesso’ di città del Lussemburgo del gennaio 1966 con il quale vennero ridimensionate la pretese, legittime o meno, della Commissione.

Questa volta le tre proposte chiave implicano un aumento del ruolo attuale (in verità piuttosto secondario) della Commissione e si articolo in tre punti:

a) Trasformazione dell’European Stability Mechanism (meglio conosciuto come ‘Fondo Salva Stati’ in un Fondo Monetario Europeo (Fme), in parte ispirato al Fondo monetario internazionale con capacità di interventi di breve periodo, nonché come paracadute per il Fondo per le risoluzioni bancarie.
b) Un ministro dell’Economia e delle Finanze Europeo che sarebbe anche uno dei vice presidenti della Commissione e presidente dell’Eurogruppo. Avrebbe il compito di vigilanza sulle finanze dell’Eurogruppo e, quindi, di essere il trait-d-union istituzionale permanente con i ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati che fanno parte dell’eurozona.
c) Un bilancio dell’eurozona inserito all’interno di quello comunitario per supportare politiche di ciclo, facilitare riforme strutturali aiutare la convergenza, stabilizzare il livello di investimenti.
Non sono proposte del tutto nuove. Erano nell’aria da tempo ed hanno in buona misura il sostegno della Germania, anche se Berlino non è riuscita ad includere il controllo dei conti pubblici tra i compiti delle Fme.

Quale è, o dovrebbe essere, la posizione dell’Italia? Con la fine della legislatura ormai imminente e l’approssimarsi di elezioni con una nuova legge elettorale e l’indebolimento delle forze politica tradizionali, l’Italia pare in panchina. E forse lo è, non c’è quasi dibattito europeo nel Paese. Ciò nonostante, parte delle proposte vengono dall’Italia; ad esempio, quella sul bilancio europeo nasce da un lavoro dell’IAI (condotto da Maria Teresa Salvemini e da Oliviere Pesce) e all’epoca apprezzato dal governo. Altre, ad esempio, il Fme rispecchiano proposte espresse, in vari momenti, dall’Italia.

Tuttavia, sarà necessario forgiare una posizione complessiva dell’Italia a livello politico, rammentandosi che il ruolo e la centralità della Commissione non possono più essere quelli di sessanta anni fa e che si è ormai instaurato un inarrestabile processo di “federalismo competitivo”, in cui  vari Stati che lo compongono, competono tra loro (nel senso etimologico di cum petere, cercare insieme) per trovare le soluzioni migliori per un’Unione, una confederazione o una federazione più moderna e più giusta.

Tra i molti che lo avevano invocato, occorre ricordare, Frank Vibert, della London School of Economics (nonché allora presidente dell’European Policy Forum) e il suo Europe Simple Europe Strong: The Future of European Governance (Polity, 2001), un libro lungimirante, che purtroppo non hai mai trovato un editore pronto a farlo tradurre in italiano e distribuire nel nostro Paese. Il libro preconizza un’Unione che secondo l’ultimo libro di Vibert (The Rise of Unelected Democracy and the New Separation of Powers Cambridge University Press 2007) aspira a forme di democrazia non elettiva.



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