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Vi spiego come e perché Washington e Mosca devono tornare a collaborare. Parla Franco Frattini

Franco Frattini, catalogna

Una delle priorità di un eventuale governo di centrodestra nato dalle urne che si apriranno la prossima primavera sarà promuovere la distensione con la Russia a beneficio dell’intero Occidente e sollevare in sede europea il problema delle sanzioni contro Mosca. È questo l’auspico che l’ex ministro degli Esteri e attuale presidente della Sioi Franco Frattini ha formulato in questa conversazione con Formiche.net. Rilanciare le relazioni con Mosca è urgente, ha detto Frattini, specie in un momento in cui la Russia svolge un ruolo cruciale in una serie di aree – Medio Oriente in testa – dove un coordinamento tra Washington e Mosca darebbe ottimi frutti. E in questo, l’Italia può giocare una partita da protagonista, “specie se a prendere il timone sarà Silvio Berlusconi“. È stata l’Italia del Cavaliere, ha sottolineato ancora l’ex ministro, a volere che la Russia di Boris Eltsin entrasse a far parte del G8. E fu sempre Berlusconi a tenere a battesimo il vertice di Pratica di Mare durante il quale George W. Bush e Vladimir Putin si diedero la mano e avviarono la collaborazione Nato-Mosca di cui oggi – ha aggiunto Frattini – “si sente la mancanza”.

Frattini, nell’ultimo numero di Foreign Affairs, l’ex vicepresidente Usa Joe Biden ha denunciato le interferenze russe nella campagna referendaria italiana del 2016. Qual è la sua posizione?

Il fatto che un ex vice presidente, quindi privo ormai della responsabilità istituzionale che gli compete, scriva un articolo su una rivista, piuttosto che comunicare in tempi congrui e adeguati al momento in cui questo eventuale hackeraggio o influenza o interferenza emergeva, francamente mal si concilia con la tradizionale sobrietà di Biden e con il fatto che lui abbia sempre, per doveri istituzionali e politici, informato gli alleati al primo sentore. Se davvero lui avesse avuto questi elementi, non erano questioni da comunicare in modo postumo. Io ritengo che questo sia uno dei tasselli di quella linea che ha portato l’amministrazione Obama a creare un clima di nuova guerra fredda con la Russia che a mio avviso è sbagliato. C’è coerenza in Biden, ma anche un errore, perché la Russia a mio avviso non è affatto un nemico, semmai dovrebbe essere un partner strategico con il quale collaborare.

Ieri Geysha Gonzalez dell’Atlantic Council ha detto a Formiche.net che i russi “hanno provato a condizionare praticamente tutte le ultime tornate elettorali in Europa”. E ad ottobre i legali di Facebook, Google e Twitter hanno documentato al Congresso la disinformazione russa sulle piattaforme web che avrebbe favorito la vittoria di Donald Trump. Putin ha dato un aiutino a Trump?

Certamente la voce di Theresa May è la voce di un paese che non da oggi, ma prima con Cameron, e ancora prima con Gordon Brown, era arrivato in molti casi a sfiorare la rottura delle relazioni diplomatiche con la Russia per molteplici ragioni e questioni non aventi a che fare con questo tipo di interferenze. La linea, anche qui, di continuità di politica estera del Regno Unito è marcatamente anti-russa. Quanto al fatto che Putin abbia in qualche modo gestito o ordito questa disinformazione, è qui il punto debole. In tutto il mondo ci sono hacker. Quando però vi è un hackeraggio non si dice subito che è stato un presidente o un primo ministro. È questo passaggio sbrigativo che io critico, quando si dice che è stato Putin. Io penso che Putin non avesse alcun interesse a sostenere Trump il quale, sia pur sotto la pressione del Congresso, ha imposto sanzioni molto severe, più di quelle imposte da Obama. Questa è una cosa che altera i rapporti di collaborazione che dovrebbero esserci tra Stati Uniti e Russia. Questo clima da guerra fredda non conviene a nessuno, se non forse al dittatore nord-coreano o a qualche estremista del Medio Oriente allargato.

In Siria, anziché prendere di mira i jihadisti, l’aviazione russa ha bombardato l’opposizione ad Assad, e Putin ha forgiato un’alleanza di ferro con l’asse sciita. Con queste premesse, su quali basi sarebbe possibile impostare una collaborazione?

Lei ha citato alcune azioni di Mosca. Io le cito il fatto che senza un intervento russo probabilmente Palmira non sarebbe stata liberata e molte altre città in mano a Daesh non sarebbero cadute. Se citiamo gli esempi da un lato e dall’altro non la finiamo più. L’unica cosa seria è che al vertice Asean del mese scorso il presidente russo e quello americano si sono rimessi d’accordo sul fatto di coordinarsi in merito alla stabilità della Siria. E qualche tempo dopo Assad a Sochi ha detto parole che mai aveva pronunciato, ossia che lui non è contrario a un processo politico di stabilizzazione della Siria. Ciò dimostra come sia necessario che Russia e Stati Uniti si coordinino.

Rimane però che le posizioni russe e americane sono al momento inconciliabili, come dimostrano le rispettive alleanze, fatte di nemici giurati.

Credo che la Russia abbia investito molto nell’asse con la Turchia e con l’Iran, e che questo paradossalmente non sia stato male. Lasciare l’Iran fuori da ogni recinto di coordinamento avrebbe dato a Teheran molte più, e non molte meno, possibilità di agire. Il fatto che la Russia li abbia tenuti sotto controllo, ha evitato forse che dilagassero, perché con i Guardiani della Rivoluzione sul territorio non si scherza. Quindi, ribadisco, Russia e Stati Uniti, devono coordinarsi. Se poi questo porterà ad una pace duratura, lo vedremo. Ma se ognuno si fa il suo circolo, ad esempio gli americani con l’Arabia Saudita e gli Emirati, i russi con gli sciiti, la stabilità diminuisce, non aumenta. Ad esempio, il fatto che l’Arabia Saudita bombardi gli sciiti in Yemen tutti i giorni non contribuisce alla stabilità. Si dirà, i ribelli Houthi sono armati dall’Iran. È così. Ma non è che se si moltiplicano i focolai di guerra stiamo meglio. Gli Stati Uniti dunque dicano ai loro alleati principali, i sauditi, e i russi ai loro, anzitutto l’Iran, di lavorare in un quadro di controllo. Questo è come io credo dovrebbe andare un processo di ragionevole coordinamento in Medio Oriente.

Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha ribadito la settimana scorsa che non ci sarà distensione con la Russia finché non smetterà di alimentare il conflitto in Ucraina. La Russia però continua a negare ogni coinvolgimento. Come si esce da questo stallo?

Si esce rilanciando il negoziato di Minsk. Il negoziato aveva alcuni capitoli. Uno era l’aiuto dei russi ai miliziani delle regioni e province dell’est. Ma l’altro capitolo, altrettanto importante, è la capacità dell’Ucraina di andare verso un sistema di regionalismo avanzato, se non di vero e proprio federalismo. È evidente che tutto si tiene. Certamente la Russia deve fare la sua parte. Vediamo però l’altro punto del negoziato di Minsk: è o non è l’Ucraina in grado di andare verso un regime di federalismo? Purtroppo, l’Ucraina versa in condizioni molto critiche e ciò rende questo percorso scarsamente fattibile. Anche per colpa nostra. Noi occidentali, che abbiamo fatto concretamente per l’Ucraina? Dopo aver sostenuto fortemente le pulsioni anti-russe, l’abbiamo salvata l’economia ucraina? Io credo di no. Anche noi occidentali dunque dobbiamo ritenerci responsabili.

Anche l’Europa?

Il negoziato di Minsk potrebbe essere rilanciato dall’Europa, se l’Europa facesse il proprio mestiere. Finora non è stata capace. C’erano Hollande e Merkel, dietro Minsk. Ora la cancelliera tedesca ha i suoi problemi a casa. E Macron da solo non può rappresentare l’Europa. Sarebbe il caso che l’Europa prendesse in mano un’azione di rilancio dei negoziati di Minsk, alla luce di ciò che oggi è fattibile, non di ciò che era fattibile due anni fa. Oggi quel che allora era fattibile lo è un po’ meno. Perché se il prossimo inverno la Russia tagliasse le forniture all’Ucraina, mica gliele possiamo dare noi.

Silvio Berlusconi nell’intervista di domenica al Corriere della Sera sostiene che Putin “vorrebbe che l’Italia fosse parte attiva in un migliore e più costruttivo rapporto fra la Russia e l’Occidente”. Sarà questa una delle priorità di un eventuale futuro governo di centrodestra? E con quale agenda il nuovo governo e il suo ministro degli esteri dovrebbero impostare i rapporti con Mosca?

Quando noi eravamo al governo, questo auspicio di Putin ci veniva ripetuto sempre, e noi ci siamo mossi perché fossero adottate decisioni che inizialmente potevano sembrare clamorose, ma che poi sono diventate pezzi di storia. Il vertice di Pratica di Mare dove Putin e Bush si sono dati la mano e hanno detto che Nato e Russia devono collaborare non si è tenuto un secolo fa. Si è tenuto solo quindici anni fa, anche se sembra tramontato nelle nebbie della storia. Fu un passo concreto.

Questo ieri, ma oggi, come bisognerebbe procedere concretamente?

Bisogna creare un quadro di sicurezza globale condiviso. Come quando Putin e Medvedev dicevano “da Vladivostok a Vancouver”. Ecco cosa significa un quadro condiviso. La sicurezza è interesse di tutti. Questa cosa Berlusconi la lanciò e la rilanciò. E non solo lui. Ricordo molto più di recente la visita di Renzi a San Pietroburgo con accanto Putin. La visita poi di Gentiloni, già premier. E la visita di Mattarella a Mosca. Questa è una linea in cui l’Italia ha sempre brillato. Perché l’Italia capisce meglio di altri che la Russia è un partner strategico. È una storia molto antica che non riguarda peraltro solo Putin. Ricordo che nel lontano 1994, Berlusconi volle invitare Eltsin e nacque il G8. Il rapporto è certamente basato oggi sull’amicizia e la stima reciproca tra Putin e Berlusconi, ma è innegabile che c’è una continuità. Nel momento in cui Berlusconi dovesse tornare ad avere responsabilità di governo, dirette o indirette, il tema delle sanzioni è un tema che si dovrà porre immediatamente. In Europa ci sono più Paesi che cominciano ad avere dubbi su questa politica di isolamento, che se non giova alla Russia, non giova nemmeno all’Occidente.

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